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Castedduonline – I genitori di Claudia: “Morta di malasanità, qualcuno dovrà pagare”.

La vera storia di Claudia, la ragazza cagliaritana morta di anoressia, raccontata dai genitori: “Un calvario per cercare di curarla, in Sardegna nessuna struttura. E Ryanair l’ha umiliata facendola viaggiare in barella al centro dell’aereo. Trattati peggio degli animali”

La morte di Claudia per anoressia ha destato grande commozione a Cagliari e in tutta Italia. Sui social sono arrivati centinaia di messaggi d’affetto e di solidarietà verso una ragazza che è andata via troppo presto. Giancarlo Piredda e Paola Farci, genitori della ragazza, ancora distrutti dal dolore, hanno deciso di parlare e di descrivere la loro tragica storia. In ogni angolo della casa di San Benedetto è ancora presente l’immagine di Claudia ed emerge immediatamente dai loro racconti il lungo calvario che hanno dovuto affrontare per cercare di curare e salvare la propria figlia prima dalla bulimia e poi dall’anoressia. Il caso di Claudia è diventato un esempio simbolo per le tante persone che devono convivere con la malattia. Claudia aveva compiuto 27 anni lo scorso 24 settembre. La sua vita si è spezzata in una fredda mattina d’inverno. Alle 11,50 del 23 gennaio il suo cuore ha cessato di battere. Il suo corpo non reagiva più alle medicine. C’è  grande rabbia e tanta sofferenza nei volti dei genitori che si sono sentiti traditi dalle istituzioni e dalle strutture sanitarie inesistenti e inadeguate in Sardegna. “La morte di Claudia deve servire da monito a tutte le persone che si scontrano con la malasanità e con il muro di gomma che certe persone incompetenti innalzano in casi come questi. Non sappiamo di chi siano le responsabilità della morte di nostra figlia, ma sappiamo che molte cose non hanno funzionato. Chi ha sbagliato deve pagare e la sua coscienza non si potrà liberare facilmente di quanto è accaduto. Noi ci batteremo per scoprire la verità e per sapere come sono andate le cose. Non possiamo permettere che il suo caso si possa ripetere e non possiamo accettare che una ragazza possa morire di anoressia. Claudia non ce la restituirà nessuno ma vogliamo solo che venga fatta giustizia. Quello che abbiamo vissuto non dovrà accadere mai più”.

Chi era Claudia? Come ha vissuto la sua malattia?

Claudia era una ragazza timida ma socievole, buona e ha avuto un’infanzia tranquilla. Ha frequentato le scuole elementari di Sant’Alenixedda,  poi con le sue compagne d’infanzia le medie al Cima. Le superiori le aveva iniziate all’Istituto Magistrale di via Carboni Boi. A 16 anni, dopo appena due anni di liceo, erano comparsi i primi sintomi della bulimia. L’inizio del suo dramma è iniziato molto presto. A 12 anni era già arrivato il diabete. Una malattia che lei non ha mai accettato perché si sentiva diversa dalle altre sue amiche. La condizionava molto il doversi privare di tutto quello che un’adolescente vive a quell’età. Era costretta a fare 5 volte al giorno l’insulina perché era scompensata. Ci eravamo rivolti al centro pediatrico del Brotzu che l’aveva presa in cura.

Quali sono stati i primi sintomi della bulimia? Come vi siete accorti che qualcosa non stava procedendo per il verso giusto?

Quando claudia aveva 16 anni la diabetologa che la seguiva ci aveva suggerito di portarla dall’unico psichiatra che operava in Sardegna al Centro di salute mentale di viale Bonaria. In quegli anni la malattia era ancora poco diffusa e poco conosciuta.

Cosa è accaduto dopo?

Il medico ha confermato che Claudia aveva un disturbo sull’alimentazione e ci aveva indicato di portarla ogni 15 giorni per i controlli. Le aveva ordinato una pastiglia, “il Zolof”. Il rapporto tra il medico e nostra figlia non ha avuto un grande successo. Non è mai entrato in sintonia con la ragazza al punto tale che Claudia si rifiutava di andarci e di curarsi. Alcune sue frasi inopportune sullo stato fisico lo avevano allontanato definitivamente.

Quali sono state le conseguenze che Claudia ha dovuto affrontare?

Dopo circa due anni Claudia passava da uno stato di gonfiore ad uno stato di presunta normalità. In quel periodo erano sbocciate le sue prime storie d’amore e aveva smesso di giocare a pallavolo. A 14 anni il diabete l’aveva distrutta in una fase della crescita fondamentale e importante.

Come siete intervenuti e come mai il centro di salute mentale non vi ha affiancato uno psicologo e un nutrizionista?

Non potevamo sapere che fosse necessario. Noi ce lo siamo chiesti dopo ma forse quando era troppo tardi. Ci siamo rivolti all’unico che trattava la malattia e ci siamo fidati. In quel periodo nostra figlia si era ripresa forse anche grazie alle sue amicizie e ai primi amori come succede a tutte le ragazze della sua età.La situazione di Claudia è cambiata in negativo dopo l’ultima storia d’amore vissuta con un ragazzo che l’aveva lasciata da un giorno all’altro e per il quale aveva sofferto tantissimo. Da quel momento Claudia è cambiata, ha iniziato a dimagrire e a rifiutare il cibo. Quando mangiava ci dava le spalle ed era rivolta verso i fornelli forse per nascondere il suo stato e sentirsi libera di sputare quel poco che riusciva ad ingurgitare.Aveva iniziato ad isolarsi e sembrava che la sua testa fosse da qualche altra parte e vivesse un’altra realtà.Ci siamo allarmati e ci siamo rivolti ad una psicologa che ci aveva suggerito di portarla fuori dalla Sardegna e precisamente a Villa Garda.Di fatto è stata una nostra scelta perché ci siamo sentiti soli e abbandonati da tutti. Abbiamo appreso solo oggi dal vostro giornale che in Sardegna esiste un centro specializzato per l’anoressia gestito della dottoressa Manuela Pintor e dal dottor Carlo Ripoli. Nessuno dei medici a cui ci eravamo rivolti ci aveva mai indicato questa soluzione. Caschiamo dalle nuvole. Il nostro dramma era appena iniziato in tutta la sua dimensione.

Villa Garda è stata utile? Quanto tempo è rimasta ricoverata?

Il primo ricovero risale al 2007 ed era durato circa sei mesi. Claudia era passata da 37 a 48 chili.Dopo il rientro a Cagliari però è iniziato il suo declino. Non voleva andare più da nessuna parte e rifiutava ogni cura. Pensava di riuscire ad uscirne da sola e con l’aiuto dei suoi amici. Non sapevamo più cosa fare. In nostro soccorso sembrava fosse arrivato un diabetologo del S.S. Trinità. Ci aveva indicato di rivolgerci a “certi” psicologi. Eravamo in una situazione pazzesca,ormai allo sbando, e il tutto aveva minato la nostra serenità familiare e messo in discussione i rapporti tra noi. Un vero e proprio calvario che ci è costato lacrime e sangue. In quel periodo abbiamo speso cifre improponibili ed eravamo nelle mani di gente senza scrupoli. Siamo arrivati ad un punto di esasperazione totale e non sapevamo più cosa fare e a chi rivolgerci.

Siete rimasti prigionieri di una sanità impreparata ad affrontare il problema anoressia? Cosa resta di questa tragica esperienza?

Eravamo nelle mani di dilettanti. Alla fine dopo aver capito le logiche che li guidava abbiamo mollato quei medici ma la vera vittima di tutto questo caos era Claudia. Non si vedevamo segni di miglioramento. Nostra figlia aveva smesso di reagire e sembrava essersi arresa. Non conduceva più una vita normale per la sua età. Non aveva molta voglia di uscire,era sempre in casa e rifiutava la vita. Nel 2012 dopo la morte della nonna che viveva con noi, la situazione rischiava di precipitare. Ci siamo rivolti a due centri specializzati per tentare ogni possibile soluzione. Uno era a Vercelli e l’altro a Vicenza, a Villa Margherita. Claudia in quel periodo stava già abbastanza male e non voleva essere ricoverata, rifiutava le cure e non potevamo obbligarla perché ormai era maggiorenne. Un dramma senza fine. Eravamo soli e disperati, per Claudia eravamo l’unico punto di riferimento. La mamma era diventata la sua migliore amica. Si appoggiava solo alla nostra famiglia e a Giulia, l’unica con cui dialogava e le stava vicina.

Nel 2012 la situazione è peggiorata?

Le si gonfiavano le gambe, era dimagrita tantissimo e si era ridotta a pesare 32 chili. In quel periodo non eravamo stati supportati da nessuno. Eravamo costretti a rivolgerci molto spesso alle strutture pubbliche.Le risposte che ci davano al Brotzu e al SS.Trinità erano disarmanti: “Non è qui che la dovete portare”. Rifiuti su rifiuti che avevano minato la nostra stabilità e avevano distrutto le nostre poche certezze. Solo lo scorso anno la situazione era rimasta stabile. Claudia pesava sllo 30 chili e la seguiva solo il diabetologo. Era l’unico che ci aiutava anche se aveva invaso in modo devastate la nostra sfera familiare.

Come siete arrivati ad Arezzo?

Dopo aver visto un programma televisivo abbiamo deciso di tentare un’altra strada. Avevamo contattato il Centro riabilitativo per l’anoressia, “L’Auryn”. In quella struttura le pazienti cucinavano quello che mangiavano. A Claudia era piaciuta l’idea e aveva deciso di partire. Sembrava ci fossero miglioramenti ma a settembre la situazione è precipitata. Claudia aveva iniziato a gonfiarsi fino al  bacino. Il suo corpo si era trasformato e camminava con fatica. Era stata portata spesso al pronto soccorso e i suoi valori sembravano stabili. Il dramma che l’ha portata alla morte è iniziato il 14 ottobre giorno in cui è stata ricoverata d’urgenza al San Donato prima in Nefrologia e poi in medicina generale. Analisi di tutti i tipi, liquidi di contrasto, tac , ecografie e valori alle stelle che in poche ore hanno minato il corpo di Claudia che versava in condizioni quasi disperate. Ci dissero di  tornare a Cagliari e di ricoverarla al Brotzu perché non riuscivano a cavarne niente. Sono state ore drammatiche. Un viaggio in aereo che si è trasformato in un’odissea perché Ryanair si rifiutava di imbarcare mia figlia che è poi finita in barella e al centro dell’aereo per l’intervento della Polfer. Un’umiliazione per lei e per noi che non dimenticherò mai. Trattati peggio degli animali.

Al Brotzu Claudia ha cessato di vivere. Come intendete procedere nei prossimi giorni?

Non doveva finire così. Qualcuno ha sbagliato e dovrà pagare per questo. Stiamo raccogliendo le cartelle cliniche e cercheremo di fare chiarezza su quanto è accaduto. Claudia non ce l’ha fatta ma la sua morte non sarà inutile. Non dobbiamo permettere che quello che abbiamo dovuto sopportare noi lo possano vivere altre persone. Il sistema metabolico non funzionava più e la situazione è precipitata senza una motivazione logica. Il suo corpo non reagiva più e il calvario è finito dopo una settimana. Claudia è morta il 23 gennaio alle 11,50 ma non c’era più e ogni cura era diventata inutile.

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