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Modelle ritoccate, verità per legge: l’ultima sfida all’anoressia

La Francia vara una normativa che impone alle modelle non solo di presentare un certificato medico per sfilare, ma anche di segnalare a lettrici e lettori eventuali ritocchi subiti dalle immagini presenti nelle riviste di moda o nella pubblicità.

IN FRANCIA, le modelle “eccessivamente magre” non potranno più sfilare. Lo ha deciso il Parlamento, dando il via libera a una legge finalizzata a contrastare il fenomeno dell’anoressia che, proprio in questi ultimi anni, ha coinvolto tra le trentamila e le quarantamila persone.

In pratica, tra loro, quasi il 90% sono donne. Un vero e proprio flagello, quindi. Che ha spinto il legislatore a mettere un po’ d’ordine nel mondo della moda e delle immagini. Non si tratta più solo di costringere le modelle a esibire un certificato medico che ne attesti lo stato di salute, ma anche di segnalare alle lettrici e ai lettori gli eventuali ritocchi subiti dalle immagini presenti nelle riviste di moda o nelle pubblicità. Una maniera come un’altra per scongiurare l’ossessione del “corpo perfetto” che spinge un numero sempre più elevato di ragazze e di donne a entrare nel circolo vizioso delle diete senza fine. Ma soprattutto un modo per ricordare l’esistenza del reale e delle sue contraddizioni, ciò che Freud aveva chiamato il “principio di realtà”.

Nel mondo reale, il corpo ha sempre un “peso” e non è mai “perfetto” o “immateriale”. Resiste al controllo e non accetta di sottomettersi alle regole. “C’è, c’è e c’è”, come scriveva la grande poetessa polacca Wislawa Szymborska. E anche quando si cerca di contenerlo e di assoggettarlo, finisce sempre con l’imporre la propria materialità. Inutile allora mentire. Inutile soprattutto spingere le donne a illudersi che, a forza di colpi di volontà, potranno un giorno assomigliare a quelle immagini ritoccate al computer che allargano o assottigliano a piacimento la silhouette delle modelle. Anche perché poi, per chi ci crede veramente, il meccanismo diventa infernale, e talvolta termina in tragedia.

Certo, sono tantissime le ragazze e le donne disposte a sacrificarsi per corrispondere alle aspettative altrui e agli ideali di bellezza e di magrezza sponsorizzati da una certa moda. Sono tantissime a convincersi che “basta volere per potere” e che, una volta raggiunta la perfezione, saranno anche capaci di ottenere quell’affetto e quelle attenzioni che, forse, non hanno mai ricevuto prima. Ma a che serve sforzarsi e sacrificarsi quando l’obiettivo da raggiungere è solo una bugia? Proprio come recitano le parole della musica della serie televisiva Nip/Tuck: “Fammi bella, fammi un’anima perfetta, una mente perfetta, un volto perfetto, una perfetta bugia”. Perfette bugie che diventano prigioni, “gabbie d’oro” come diceva la psicanalista Hilde Bruch che ha tanto scritto sui disturbi del comportamento alimentare, e che impediscono non solo di sbagliare con la propria testa, ma anche e soprattutto di vivere.

Si guardano le immagini e si sogna. Ci si identifica con quei “corpi senza peso” nella speranza di vivere libere dagli ostacoli e per sempre felici. Come se la gioia coincidesse con la perfezione, mentre è sempre e solo l’imperfezione che permette ad ognuno di noi di essere riconosciuto per quello che è, unico e mai intercambiabile. Tanto più che a forza di far di tutto per corrispondere all’ideale, si finisce col non sapere nemmeno più quello che si desidera veramente. E talvolta è proprio quando ci si prepara a raccogliere i frutti del proprio impegno che si frana sotto il peso della disperazione. L’anoressia, in fondo, è proprio questo: cancellare l’essere in nome del dover essere; e illudersi che prima o poi, a forza di dovere, si riuscirà anche a conquistare il diritto di essere.

Certo, è lecito chiedersi se basti vietare alle modelle troppo magre di sfilare o apporre la dicitura “ritoccate” alle immagini di moda per contrastare l’anoressia che non è solo una questione di “perfezione fisica”, ma anche e soprattutto di “perfezione morale”. Ma è sicuramente un primo passo. Almeno per ridare diritto di cittadinanza al “peso” della realtà e alle sue mille imperfezioni.

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