Società Scientifica Multi-disciplinare e
Multi-professionale che si occupa dei
Disturbi Alimentari dal 1991:
Anoressia, Bulimia, BingEating, Obesità compresa
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SIRIDAP – Società Italiana di Riabilitazione Interdisciplinare Disturbi Alimentari e del Peso
SIRIDAP Onlus è la Società Italiana di Riabilitazione Interdisciplinare Disturbi Alimentari e del Peso.
Le finalità che intendiamo perseguire sono quelle prioritarie di sostenere e contribuire al miglioramento di un lavoro di riabilitazione multidisciplinare psiconutrizionale a favore delle persone con disturbi del comportamento alimentare e del peso, con particolare riferimento alla realtà istituzionale.
L’Espresso.Repubblica.it – Anoressia, sono sempre di più i bambini che si ammalano.
I disturbi del comportamento alimentare coinvolgono fasce di ragazzi sempre più giovani: perfino sotto i dieci anni. E spesso hanno le caratteristiche delle tossicodipendenze
Aveva dodici anni la bambina che poche settimane fa si è tolta la vita a Torino lanciandosi dal balcone di casa: soffriva di anoressia. Una notizia che sgomenta ma purtroppo rivela anche un problema sempre più diffuso. I numeri dei disturbi del comportamento alimentare parlano infatti di tre milioni e mezzo di persone, il 20 per cento sono bambini. E questi sono i dati ufficiali: poi ci sono quelli sommersi, incalcolabili.
Ogni anno si registrano 8.500 nuovi casi di malattie conosciute comunemente come anoressia, bulimia e “binge eating disorder” (disturbo da alimentazione incontrollata), caratterizzato da frequenti abbuffate compulsive con aumento del peso fino all’obesità. Derivano tutte da profondi traumi irrisolti e, quando non conducono alla morte per suicidio o arresto cardiaco, compromettono la vita con gravissimi danni all’organismo e relazionali.
Nonostante la definizione di allarme sociale, in Italia si fa ancora molta fatica ad affrontare questo argomento, spesso relegato solo all’aspetto estetico. Ecco perché Stefano Tavullia ha fondato l’associazione Mi Nutro di Vita e dal 2012 organizza la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, per sensibilizzare sui disturbi, i sintomi, i rischi e le cure possibili. Tavullia ha perso una figlia diciassettenne a causa della bulimia, ma i Dca – disturbi del comportamento alimentare – hanno iniziato a colpire con preoccupante incidenza anche i più piccoli.
«Abbiamo assistito a un repentino abbassamento dell’età di esordio dei primi sintomi. Fino a poco tempo fa, la fascia compresa tra gli 8 e i 14 anni era interessata dal 5 per cento dei casi, mentre oggi è salita al 20», spiega Laura Dalla Ragione, referente scientifico del Ministero della Salute per i Dca e direttore di Palazzo Francisci a Todi, prima realtà italiana residenziale extraospedaliera nata nel 2003 in seno all’Usl Umbria 1.
«Il numero dei bambini», continua Dalla Ragione, «è talmente elevato da aver indotto l’Istituto Superiore di Sanità ad avviare un percorso di formazione sulla diagnosi precoce per medici di base e pediatri su tutto il territorio nazionale. Sono loro i primi ad entrare in contatto con i pazienti ed è necessario che abbiano gli strumenti per riconoscerli. La risposta è stata notevole, così l’Istituto ha superato il tetto massimo previsto all’inizio e lo ha raddoppiato fino a cinquemila iscritti».
L’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce nei Dca la seconda causa di morte per le adolescenti dopo gli incidenti stradali. Ma se fino a pochi anni fa i Dca erano considerati patologie solo femminili, oggi sono diffusi anche tra i maschi (10 per cento), soprattutto nelle nuove forme dell’ortoressia (ossessione da alimentazione sana) e bigoressia (ossessione per il volume muscolare).
Se però i soggetti analizzati sono bambini, molti elementi cambiano: «Tra i pazienti più piccoli, i maschi arrivano al 40 per cento dei casi. E tra i ragazzi c’è la compresenza di altre patologie psichiatriche: la bulimia nervosa ha un’incidenza importante. Nel 63 per cento dei pazienti più giovani, inoltre, l’esordio precoce si accompagna alla crescita di manifestazioni fobico-ossessive, depressione, attacchi di panico e discontrollo degli impulsi. Le patologie hanno sempre conseguenze molto gravi e forme acute. Quello della bambina che si è tolta la vita a undici anni è un episodio tragico e forse inatteso, perché i più giovani praticano spesso l’autolesionismo, mentre il rischio di suicidio di solito si affaccia solo con l’arrivo dell’adolescenza».
Nel febbraio del 2014 si è conclusa la Ricerca nazionale sui Dca adolescenziali e preadolescenziali che il ministero aveva iniziato due anni prima. Un’indagine diretta dalla psichiatra Dalla Ragione su 1.380 soggetti in età compresa tra gli 8 e i 17, con sei centri in altrettante città italiane. I risultati non sono confortanti. Hanno evidenziato che le manifestazioni precoci sostengono percentuali di osteoporosi con blocco dell’accrescimento osseo vicine al 43 per cento.
La conseguenza, si legge nella relazione finale, è che «un bambino di dieci anni con anoressia nervosa e blocco dell’accrescimento osseo non raggiungerà mai la stessa altezza che avrebbe avuto se non si fosse ammalato». Lo studio, inoltre, ha riscontrato qualità e quantità di dispercezione corporea (la mancata corrispondenza tra le immagini corporee reale e percepita) vicine al doppio di quelle presenti nei pazienti tra i 20 e i 30 anni. I riflessi, naturalmente, ricadono pure sullo stress familiare, ed è necessario fornire un sostegno psicologico anche ai parenti che accompagnano la vita del malato.
Una delle prerogative dei Dca consiste nella loro multifattorialità: sono determinati da una pluralità di variabili che scatenano i sintomi e ne influenzano il decorso. Gli approcci terapeutici sono numerosi e differiscono secondo l’orientamento. Ci sono la scuola sistemico-relazionale, quella costruttivista, psicodinamica, cognitiva e molte altre. Numerose sono pure le strutture, residenziali, ambulatoriali e di day hospital, ma troppo poche rispetto alle necessità. Tra le principali ci sono quelle fondate da Fabiola De Clercq (Aba) in sette regioni e il Centro di Terapia Strategica ad Arezzo del professore Giorgio Nardone.
Alcune strutture, soprattutto quelle del servizio pubblico, sono spesso a rischio chiusura, come quella del quartiere Soccavo a Napoli: nonostante un’utenza superiore alle 400 unità. A fornire una mappa completa di associazioni e strutture pubbliche e convenzionate sul territorio nazionale è il sito Internet www.disturbialimentarionline.it , un progetto del ministero della Salute di concerto con quello della Gioventù. Contiene un elenco diviso per regioni e le informazioni relative al numero verde di counseling telefonico 800-180969, anonimo e attivo ad orario continuato dal lunedì al venerdì.
«Le cure previste per i bambini», conclude Dalla Ragione, «si confrontano con l’impossibilità di usare psicofarmaci. Bisogna concentrarsi invece su terapie integrate di carattere familiare, nutrizionale e psicologico. Ecco perché sono importanti le residenze riabilitative in cui ospitare il paziente: ma in Italia solo cinque strutture accolgono giovani sotto i 14 anni. La ricerca che abbiamo condotto testimonia inoltre che non esistono differenze tra Nord, Centro e Sud, sia per numeri che per caratteristiche del disturbo. Per il modo in cui agiscono, i Dca sono assimilabili a dipendenze come quelle da alcol e droga, e credo sia necessario sottolineare che la letteratura scientifica non ha mai dato cenni di remissioni spontanee della patologia, in tutte le età. Lasciarseli alle spalle e recuperare una vita serena è possibile, ma bisogna curarsi».
La Stampa.it – Torino, dietro il suicidio di Anna la tragedia delle bimbe anoressiche.
Gli esperti: si abbassa l’età dei primi sintomi, decisivo il ruolo dei pediatri
Anoressici a 7 anni. I primi sintomi a 6 anni selezionando il cibo che si ha nel piatto, masticandolo lentamente, buttandosi a capofitto nello sport. Si è abbassata drasticamente l’età dei disturbi alimentari: i maschi che ne soffrono sono saliti al 15 per cento e la malattia inizia ad essere un peso insormontabile ancor prima dell’inizio delle scuole medie. È stato così anche per Anna, dodicenne di Torino che domenica sera ha preferito buttarsi dal terzo piano di un palazzo in centro piuttosto che sedersi a tavola per cenare.
CASI IN AUMENTO
«È una rabbia antica e profonda, che nasce da piccoli e si manifesta attraverso il cibo: anoressia e bulimia sono una protesta che i genitori, da soli, non sono in grado di gestire», afferma il professor Secondo Fassino, del Centro pilota piemontese di disturbi del comportamento alimentare.
«Solo in Piemonte, nell’ultimo anno i casi sono aumentati del 30 per cento». Stime in cui Anna, però, non rientra: «La sua malattia è iniziata troppo presto. Il Centro segue pazienti dai 15 anni, ma proprio per fronteggiare il fenomeno abbiamo appena aperto a Torino un ambulatorio che faccia da ponte con i casi pediatrici. Ormai la maggior parte degli esordi conclamati avviene prima dei 10 anni», conclude.
TERRORE DA CIBO
Dieci anni li aveva anche Anna, quando ha iniziato a mostrare il suo malessere interiore. È sempre stata esile: una bambolina con i capelli biondi e gli occhi azzurri, che sembrava più piccola della sua età. Poi all’improvviso il sorriso si spegne e iniziano a spuntare le ossa da sotto i vestiti e i pantaloncini da calcio con cui giocava da sola in cortile. Lo scorso anno il primo ricovero: tre mesi di reparto, pasti assistiti e psicoterapia per tutta la famiglia, all’ospedale Regina Margherita di Torino. Domenica sera, il tragico epilogo: una lite con la madre che la invitava a sedersi a tavola, il peso dell’incomprensione troppo grande da sopportare.
SFIDA ANORESSICA
E mentre veniva dichiarata la sua morte, dopo la rianimazione e l’inutile corsa in ambulanza al pronto soccorso, su uno dei tanti blog che si trovano sulla rete per condividere lo stile di vita anoressico, Anix scriveva «Mi presento, sono Anita e ho 15 anni. Peso 43 chili e voglio arrivare a 35. Sono alta 1.62». A risponderle è One Love: «Ciao, se ti va possiamo aiutarci a vicenda». Negli stessi minuti, su un altro sito Trilly pubblica: «Odio la frustrazione di non vedere la bilancia ricambiare i miei sforzi e sacrifici…». Lei ha 26 anni ed è una delle concorrenti del «concorsone» indetto da Crystal Nova sul suo blog: «Il contest finisce venerdì: l’utente che perderà più peso vincerà il titolo di Ana Winner». Dietro nomignoli e profili fantasma, le ragazze si scambiano consigli di ogni tipo su come iniziare la dieta del digiuno e quali precauzioni prendere, con tanto di decaloghi e mantra.
«Regola dei tre bocconi: prova a fermarti al terzo boccone di ogni pietanza. Bevi un bicchiere di acqua ogni ora, possibilmente fredda così brucerai più calorie. Evita la cena, se puoi dalla al tuo cane o buttala di nascosto. Lava i denti dopo aver ingerito qualcosa e porta qualcosa addosso che ti ricordi che Ana – la dea dell’anoressia – è lì con te e ti sta guardando». A dare l’allarme sono anche le associazioni che si occupano di prevenzione a scuola: «Iniziamo già alle elementari – fanno sapere dal Centro Liberter -: il rischio più grande è proprio l’emulazione».
GESTO ESTREMO
Ora la morte di Anna lascia «un dolore pazzesco»: quello dei genitori, dei compagni di classe e delle insegnanti, che non riescono a comprendere come si possa, a 12 anni, compiere un gesto così estremo. «Non la viviamo però come una sconfitta», afferma la professoressa Anna Maria Peloso dell’équipe pediatrica della Città della Salute di Torino che aveva in cura Anna. «È stato fatto tutto quello che si poteva, mettendo in campo ogni risorsa. La famiglia era presente e attenta, ora rimane solo l’impotenza davanti ad un gesto così grande, dato dalla necessità di liberarsi di un peso. L’anoressia è un sintomo, proprio come la febbre».
La Stampa.it – Anoressia e bulimia, l’obiettivo di chi ne soffre è il “controllo”.
I disturbi alimentari interessano 3 milioni di italiani. I segnali di allarme da tenere d’occhio
A volte, è una modella troppo magra in copertina o in passerella a scatenare la protesta indignata del pubblico. In altri casi, è la notizia del decesso di una giovane ragazzina che aveva smesso di mangiare. La realtà è che i disordini alimentari sono sempre più oggetto di attenzione anche da parte della ricerca scientifica e clinica. Riguardano circa 3 milioni di italiani dei quali 2,3 milioni sono adolescenti. Per il 95% si tratta di donne, ma il fenomeno è in crescita anche tra gli uomini. Secondo l’Istat, la fascia d’età più colpita è quella tra i 18 e i 24 anni, che vede il 2% delle donne soffrire di anoressia, il 4% di bulimia e il 6,2% di altri disturbi alimentari, come il binge eating (le “abbuffate”). Infatti, anoressia, bulimia, binge eating possono compromettere in modo significativo il funzionamento psicosociale e la salute fisica, fino agli esiti più tragici.
L’ ESORDIO É SEMPRE PIÙ PRECOCE
Come per tutte le psicopatologie, è andata abbassandosi l’età della comparsa dei disturbi, presenti ora anche nei giovanissimi, a 10 o 12 anni o prima. E quindi è partita la ricerca di nuovo indicatori che possano aiutare a prevederne lo sviluppo. «Non esistono indicatori biologici, ma vi sono dei segnali cui prestare attenzione» spiega Gianluigi Mansi responsabile della divisione di psichiatria degli Istituti Clinici Zucchi di Monza e del Servizio per Disturbi Alimentari dell’IRCCS Medea a Bosisio Parini. «Si tratta di una scarsa autostima, isolamento sociale, perfezionismo e terrore di ingrassare, ma anche stranezze alimentari, come selettività al cibo (ad esempio, mangiare solo cibi bianchi) o la tendenza a nasconderlo o sminuzzarlo, un’eccessiva attenzione a cibo, al peso, alle calorie e tendenza a cucinare per gli altri».
LE RIVALITÁ E LE RIVALSE NASCOSTE DIETRO IL DISTURBO
La volontà di avere il controllo della situazione riguarda, infatti, non solo la propria alimentazione ma anche quella altrui. Si parla di “tirannia alimentare” quando c’è la voglia di cucinare per gli altri, stabilire la loro alimentazione, fino a riempirli di cibo, tanto che «nelle ragazze non si esclude una nascosta tendenza alla rivalsa, una sorta di sabotaggio della bellezza di madri e sorelle percepite come rivali» spiega lo psichiatra.
LO SCHERNO DEGLI AMICI E LE CRITICHE IN FAMIGLIA
Tra i fattori di rischio non traumatici che possono favorire la comparsa questi disturbi vi è il sovrappeso infantile, che espone allo scherno dei compagni e alle critiche in famiglia. «Dalle anamnesi, emerge spesso il ruolo determinante dei commenti dei genitori sul fisico e sulle abitudini alimentari (“mangi troppo, guardati”). In questo senso, vi è sempre una fase iniziale in cui siamo tutti complici», commenta lo psichiatra. Tuttavia, madri e padri non vanno colpevolizzati, ma possono svolgere al contrario un ruolo protettivo ed essere di supporto ai vari professionisti medici, aiutando nella progressione della cura.
L’IMMAGINE «DISTORTA» DEL PROPRIO CORPO
L’aspetto psicopatologico centrale, considerato il nucleo del problema, è il cosiddetto disturbo dell’immagine corporea. In generale, la corporeità e la sua percezione non dipendono unicamente dalle caratteristiche fisiche dell’individuo, è globalmente plasmato dalle sue convinzioni, dal suo vissuto e dal contesto sociale che, nei giovani, è particolarmente decisivo. «Il comportamento alimentare diventa così un correttivo di tale immagine di sé» e così «le ragazze che si vedono troppo grasse, ma anche troppo basse, percepiscono il peso come l’unico fattore sul quale è possibile intervenire. Lo stesso per i ragazzi, in particolare coloro che hanno dei dubbi sulla propria virilità e vogliono quindi avere un corpo mascolino» spiega lo psichiatra che si dice convinto di una rapida traduzione in strategie terapeutiche di queste recenti scoperte.
LO “SCHIFO” E IL “DISGUSTO” VERSO IL PROPRIO ASPETTO
Controllare il peso, l’alimentazione, il rendimento scolastico e i pasti dei parenti: l’idea del controllo è fondamentale in queste persone dall’enorme motivazione e forza di volontà. «Indulgenti verso il corpo degli altri, provano schifo e disgusto per il proprio e mettono in atto delle strategie che hanno la caratteristica cognitiva del “tutto o nulla” che li porta a evitare del tutto il cibo piuttosto che ridurne la quantità» spiega Mansi.
IL RAPPORTO CON LO SPECCHIO
Chi soffre di anoressia si guarda continuamente allo specchio con spietatezza. Anche per questo, se da una parte si vede grasso anche quando è ormai molto magro, tuttavia ha una percezione del proprio corpo dettagliata e precisa: «Abbiamo visto che questi pazienti sanno distinguere gli stimoli tattili con estrema accuratezza. Invece, i soggetti senza problemi, anche quelli in sovrappeso, quando vengono toccati con la punta di un compasso sbagliano nella stima della distanza degli stimoli percepiti: misurano superfici corporee di dimensioni ridotte rispetto al vero. Questa percezione benevola, che chiamiamo misericordia del proprio corpo, ci fa guardare a noi stessi con più indulgenza e manca negli anoressici».
POSSIBILI RIMEDI: PROPORRE PICCOLI OBIETTIVI AL PAZIENTE
Potrà permanere una certa attenzione al corpo, ma guarire si può. I modelli di trattamento integrato prevedono l’intervento del nutrizionista, la psicoterapia individuale e quella di gruppo per i famigliari, i gruppi di mutuo aiuto. «Per il buon esito dell’intervento, è necessario attendere il momento migliore per un agguato (benevolo) da sferrare quando diminuisce la resistenza a collaborare perché il braccio di ferro con un paziente così tenace e volitivo non porterebbe ad alcun risultato» spiega Mansi. La strategia è cercare la complicità del paziente negoziando di volta in volta gli obiettivi (“devi nutrirti bene per affrontare l’esame di maturità”), senza focalizzarsi sul peso. Ai parenti, oltre a fornire supporto, bisogna spiegare che per mesi potrebbe non accadere nulla.
Di disturbi alimentari si torna a parlare grazie alla letteratura, come il nuovo romanzo di Paolo Crepet “Il caso della donna che smise di mangiare” (Einaudi) o “Non più Briciole” di Chiara Arachi (Longanesi), o grazie alla musica, come nel nuovo video dei Subsonica “Specchio”. Tutte occasioni per aumentare la consapevolezza del grande pubblico e trasmettere il giusto messaggio, che di disturbi alimentari si può morire ma anche guarire.
Repubblica.it.Genova – Un fiocchetto lilla per legare alla vita ragazze e ragazzi con l’incubo del cibo.
Domani in tutta Italia la giornata “Mi nutro di vita” nel ricordo di Giulia, diciassettenne genovese
un medico e a qualcuno che racconti la propria esperienza ». Poi, c’è Internet. «Mi nutro di vita è anche un blog — spiega — un modo per aprirsi, grazie all’anonimato ». I sintomi dei disturbi alimentari, infatti, oggi si manifestano sempre prima: già tra gli 8 e i 12 anni. In ragazze ancora più giovani di Giulia, che come lei rischiano di non fare in tempo a diventare grandi.
Comunicato Stampa – Centro DCA Ospedale di Lanzo: il punto a sei mesi dall’apertura.
Centro DCA Ospedale di Lanzo: il punto a sei mesi dall’apertura.
Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale di Lanzo: facciamo il punto a sei mesi dall’apertura, in occasione dell’adesione alla Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla
Il Centro aziendale per la prevenzione e la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale di Lanzo è operativo dallo scorso 22 settembre e ora, a circa sei mesi
dall’apertura, in occasione dell’adesione alla Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, facciamo il punto sull’attività svolta.
Castedduonline – I genitori di Claudia: “Morta di malasanità, qualcuno dovrà pagare”.
La vera storia di Claudia, la ragazza cagliaritana morta di anoressia, raccontata dai genitori: “Un calvario per cercare di curarla, in Sardegna nessuna struttura. E Ryanair l’ha umiliata facendola viaggiare in barella al centro dell’aereo. Trattati peggio degli animali”
La morte di Claudia per anoressia ha destato grande commozione a Cagliari e in tutta Italia. Sui social sono arrivati centinaia di messaggi d’affetto e di solidarietà verso una ragazza che è andata via troppo presto. Giancarlo Piredda e Paola Farci, genitori della ragazza, ancora distrutti dal dolore, hanno deciso di parlare e di descrivere la loro tragica storia. In ogni angolo della casa di San Benedetto è ancora presente l’immagine di Claudia ed emerge immediatamente dai loro racconti il lungo calvario che hanno dovuto affrontare per cercare di curare e salvare la propria figlia prima dalla bulimia e poi dall’anoressia. Il caso di Claudia è diventato un esempio simbolo per le tante persone che devono convivere con la malattia. Claudia aveva compiuto 27 anni lo scorso 24 settembre. La sua vita si è spezzata in una fredda mattina d’inverno. Alle 11,50 del 23 gennaio il suo cuore ha cessato di battere. Il suo corpo non reagiva più alle medicine. C’è grande rabbia e tanta sofferenza nei volti dei genitori che si sono sentiti traditi dalle istituzioni e dalle strutture sanitarie inesistenti e inadeguate in Sardegna. “La morte di Claudia deve servire da monito a tutte le persone che si scontrano con la malasanità e con il muro di gomma che certe persone incompetenti innalzano in casi come questi. Non sappiamo di chi siano le responsabilità della morte di nostra figlia, ma sappiamo che molte cose non hanno funzionato. Chi ha sbagliato deve pagare e la sua coscienza non si potrà liberare facilmente di quanto è accaduto. Noi ci batteremo per scoprire la verità e per sapere come sono andate le cose. Non possiamo permettere che il suo caso si possa ripetere e non possiamo accettare che una ragazza possa morire di anoressia. Claudia non ce la restituirà nessuno ma vogliamo solo che venga fatta giustizia. Quello che abbiamo vissuto non dovrà accadere mai più”.
Chi era Claudia? Come ha vissuto la sua malattia?
Claudia era una ragazza timida ma socievole, buona e ha avuto un’infanzia tranquilla. Ha frequentato le scuole elementari di Sant’Alenixedda, poi con le sue compagne d’infanzia le medie al Cima. Le superiori le aveva iniziate all’Istituto Magistrale di via Carboni Boi. A 16 anni, dopo appena due anni di liceo, erano comparsi i primi sintomi della bulimia. L’inizio del suo dramma è iniziato molto presto. A 12 anni era già arrivato il diabete. Una malattia che lei non ha mai accettato perché si sentiva diversa dalle altre sue amiche. La condizionava molto il doversi privare di tutto quello che un’adolescente vive a quell’età. Era costretta a fare 5 volte al giorno l’insulina perché era scompensata. Ci eravamo rivolti al centro pediatrico del Brotzu che l’aveva presa in cura.
Quali sono stati i primi sintomi della bulimia? Come vi siete accorti che qualcosa non stava procedendo per il verso giusto?
Quando claudia aveva 16 anni la diabetologa che la seguiva ci aveva suggerito di portarla dall’unico psichiatra che operava in Sardegna al Centro di salute mentale di viale Bonaria. In quegli anni la malattia era ancora poco diffusa e poco conosciuta.
Cosa è accaduto dopo?
Il medico ha confermato che Claudia aveva un disturbo sull’alimentazione e ci aveva indicato di portarla ogni 15 giorni per i controlli. Le aveva ordinato una pastiglia, “il Zolof”. Il rapporto tra il medico e nostra figlia non ha avuto un grande successo. Non è mai entrato in sintonia con la ragazza al punto tale che Claudia si rifiutava di andarci e di curarsi. Alcune sue frasi inopportune sullo stato fisico lo avevano allontanato definitivamente.
Quali sono state le conseguenze che Claudia ha dovuto affrontare?
Dopo circa due anni Claudia passava da uno stato di gonfiore ad uno stato di presunta normalità. In quel periodo erano sbocciate le sue prime storie d’amore e aveva smesso di giocare a pallavolo. A 14 anni il diabete l’aveva distrutta in una fase della crescita fondamentale e importante.
Come siete intervenuti e come mai il centro di salute mentale non vi ha affiancato uno psicologo e un nutrizionista?
Non potevamo sapere che fosse necessario. Noi ce lo siamo chiesti dopo ma forse quando era troppo tardi. Ci siamo rivolti all’unico che trattava la malattia e ci siamo fidati. In quel periodo nostra figlia si era ripresa forse anche grazie alle sue amicizie e ai primi amori come succede a tutte le ragazze della sua età.La situazione di Claudia è cambiata in negativo dopo l’ultima storia d’amore vissuta con un ragazzo che l’aveva lasciata da un giorno all’altro e per il quale aveva sofferto tantissimo. Da quel momento Claudia è cambiata, ha iniziato a dimagrire e a rifiutare il cibo. Quando mangiava ci dava le spalle ed era rivolta verso i fornelli forse per nascondere il suo stato e sentirsi libera di sputare quel poco che riusciva ad ingurgitare.Aveva iniziato ad isolarsi e sembrava che la sua testa fosse da qualche altra parte e vivesse un’altra realtà.Ci siamo allarmati e ci siamo rivolti ad una psicologa che ci aveva suggerito di portarla fuori dalla Sardegna e precisamente a Villa Garda.Di fatto è stata una nostra scelta perché ci siamo sentiti soli e abbandonati da tutti. Abbiamo appreso solo oggi dal vostro giornale che in Sardegna esiste un centro specializzato per l’anoressia gestito della dottoressa Manuela Pintor e dal dottor Carlo Ripoli. Nessuno dei medici a cui ci eravamo rivolti ci aveva mai indicato questa soluzione. Caschiamo dalle nuvole. Il nostro dramma era appena iniziato in tutta la sua dimensione.
Villa Garda è stata utile? Quanto tempo è rimasta ricoverata?
Il primo ricovero risale al 2007 ed era durato circa sei mesi. Claudia era passata da 37 a 48 chili.Dopo il rientro a Cagliari però è iniziato il suo declino. Non voleva andare più da nessuna parte e rifiutava ogni cura. Pensava di riuscire ad uscirne da sola e con l’aiuto dei suoi amici. Non sapevamo più cosa fare. In nostro soccorso sembrava fosse arrivato un diabetologo del S.S. Trinità. Ci aveva indicato di rivolgerci a “certi” psicologi. Eravamo in una situazione pazzesca,ormai allo sbando, e il tutto aveva minato la nostra serenità familiare e messo in discussione i rapporti tra noi. Un vero e proprio calvario che ci è costato lacrime e sangue. In quel periodo abbiamo speso cifre improponibili ed eravamo nelle mani di gente senza scrupoli. Siamo arrivati ad un punto di esasperazione totale e non sapevamo più cosa fare e a chi rivolgerci.
Siete rimasti prigionieri di una sanità impreparata ad affrontare il problema anoressia? Cosa resta di questa tragica esperienza?
Eravamo nelle mani di dilettanti. Alla fine dopo aver capito le logiche che li guidava abbiamo mollato quei medici ma la vera vittima di tutto questo caos era Claudia. Non si vedevamo segni di miglioramento. Nostra figlia aveva smesso di reagire e sembrava essersi arresa. Non conduceva più una vita normale per la sua età. Non aveva molta voglia di uscire,era sempre in casa e rifiutava la vita. Nel 2012 dopo la morte della nonna che viveva con noi, la situazione rischiava di precipitare. Ci siamo rivolti a due centri specializzati per tentare ogni possibile soluzione. Uno era a Vercelli e l’altro a Vicenza, a Villa Margherita. Claudia in quel periodo stava già abbastanza male e non voleva essere ricoverata, rifiutava le cure e non potevamo obbligarla perché ormai era maggiorenne. Un dramma senza fine. Eravamo soli e disperati, per Claudia eravamo l’unico punto di riferimento. La mamma era diventata la sua migliore amica. Si appoggiava solo alla nostra famiglia e a Giulia, l’unica con cui dialogava e le stava vicina.
Nel 2012 la situazione è peggiorata?
Le si gonfiavano le gambe, era dimagrita tantissimo e si era ridotta a pesare 32 chili. In quel periodo non eravamo stati supportati da nessuno. Eravamo costretti a rivolgerci molto spesso alle strutture pubbliche.Le risposte che ci davano al Brotzu e al SS.Trinità erano disarmanti: “Non è qui che la dovete portare”. Rifiuti su rifiuti che avevano minato la nostra stabilità e avevano distrutto le nostre poche certezze. Solo lo scorso anno la situazione era rimasta stabile. Claudia pesava sllo 30 chili e la seguiva solo il diabetologo. Era l’unico che ci aiutava anche se aveva invaso in modo devastate la nostra sfera familiare.
Come siete arrivati ad Arezzo?
Dopo aver visto un programma televisivo abbiamo deciso di tentare un’altra strada. Avevamo contattato il Centro riabilitativo per l’anoressia, “L’Auryn”. In quella struttura le pazienti cucinavano quello che mangiavano. A Claudia era piaciuta l’idea e aveva deciso di partire. Sembrava ci fossero miglioramenti ma a settembre la situazione è precipitata. Claudia aveva iniziato a gonfiarsi fino al bacino. Il suo corpo si era trasformato e camminava con fatica. Era stata portata spesso al pronto soccorso e i suoi valori sembravano stabili. Il dramma che l’ha portata alla morte è iniziato il 14 ottobre giorno in cui è stata ricoverata d’urgenza al San Donato prima in Nefrologia e poi in medicina generale. Analisi di tutti i tipi, liquidi di contrasto, tac , ecografie e valori alle stelle che in poche ore hanno minato il corpo di Claudia che versava in condizioni quasi disperate. Ci dissero di tornare a Cagliari e di ricoverarla al Brotzu perché non riuscivano a cavarne niente. Sono state ore drammatiche. Un viaggio in aereo che si è trasformato in un’odissea perché Ryanair si rifiutava di imbarcare mia figlia che è poi finita in barella e al centro dell’aereo per l’intervento della Polfer. Un’umiliazione per lei e per noi che non dimenticherò mai. Trattati peggio degli animali.
Al Brotzu Claudia ha cessato di vivere. Come intendete procedere nei prossimi giorni?
Non doveva finire così. Qualcuno ha sbagliato e dovrà pagare per questo. Stiamo raccogliendo le cartelle cliniche e cercheremo di fare chiarezza su quanto è accaduto. Claudia non ce l’ha fatta ma la sua morte non sarà inutile. Non dobbiamo permettere che quello che abbiamo dovuto sopportare noi lo possano vivere altre persone. Il sistema metabolico non funzionava più e la situazione è precipitata senza una motivazione logica. Il suo corpo non reagiva più e il calvario è finito dopo una settimana. Claudia è morta il 23 gennaio alle 11,50 ma non c’era più e ogni cura era diventata inutile.
Rainews.it – Lo psicoterapeuta: l’amore è un ingrediente fondamentale contro anoressia e bulimia.
“Portare un po’ di calore dove c’era tanta desolazione” il consiglio dello psicoterapeuta Giovanni Porta per sconfiggere i disturbi dell’alimentazione
E’ capitato a tutti di usare o di rifiutare il cibo in momenti di stress o in situazioni difficili. Lo psicoterapeuta Giovanni Porta, spiega i fattori a cui prestare attenzione con noi stessi e con i nostri figli. “È difficile descrivere in maniera generale i fattori che facilitano l’insorgere dei disturbi del comportamento alimentare – afferma Porta – Il primo, e il più ampiamente analizzato, riguarda la famiglia di origine. Non a caso, il periodo con l’insorgenza maggiore di anoressia, bulimia e abbuffate incontrollate (binge eating) si ha in età adolescenziale, momento in cui il rapporto con la famiglia conosce una profonda trasformazione, che spesso mette in evidenza difficoltà di relazione preesistenti”. Il più necessario dei nutrimenti è l’amore “Ci sono famiglie in cui ai figli viene a mancare il più necessario dei nutrimenti: l’amore – spiega lo psicoterapeuta – Questo può avvenire per ragioni che hanno a che fare con problematiche personali non risolte dai genitori. I figli sviluppano e si abituano a convivere con un profondo senso di solitudine, quasi un’impossibilità a sentirsi visti e riconosciuti, e può capitare che alcuni cerchino di controllare in maniera ossessiva il proprio corpo per avere un illusorio senso di padronanza di fronte a una realtà verso la quale si sentono impotenti, o almeno incapaci di ottenere ciò che a loro interessa davvero”. Il cibo può essere visto dagli adolescenti come un nemico che rovina la bellezza Ma le difficoltà nel rapporto con la famiglia di origine, naturalmente, non sono l’unica causa scatenante.“L’adolescenza è un periodo estremamente delicato nella vita di una persona – continua lo specialista – durante il quale il corpo di ognuno subisce profonde trasformazioni e le relazioni si complicano. È il momento in cui per la prima volta si inizia ad avere a che fare con erotismo e sessualità, e il desiderio di piacere a potenziali partner diventa più pressante. Il cibo può essere il luogo dentro il quale nascondersi e con il quale consolarsi (come nel caso delle abbuffate incontrollate) oppure qualcosa da evitare con attenzione: un nemico che rovina la nostra bellezza”. Le cause dei disturbi alimentari Durante l’adolescenza è “elevata la paura del giudizio – sottolinea Porta – la difficoltà di adattarsi alle prime, a volte feroci forme di competizione tra coetanei, timidezza, problemi relazionali, difficoltà a convivere con la frustrazione, rigidità, scarsa autostima ecc. sono tutti fattori personali che possono facilitare l’insorgere di disturbi del comportamento alimentare. Alle volte si inizia per gioco, o come sperimentazione, e ci si trova poi ad avere a che fare con una vera e propria dipendenza”. Un rapporto malato con il cibo può diventare una dipendenza “Come nelle dipendenze da sostanze stupefacenti, una cattiva abitudine (dimagrire troppo, vomitare, oppure abbuffarsi) – sostiene lo psicoterapeuta – diviene un comportamento di cui non si riesce più a fare a meno. Diviene un modo ‘magico’ per dominare emozioni troppo spiacevoli o per avere l’illusione di controllare situazioni che sfuggono di mano. Ma è una magia di cui prima o poi si paga un conto salato”. L’arte spesso può aiutare i ragazzi “È importante – ribadisce lo psicologo – che i genitori che si accorgono dell’esistenza di forme di disagio nei propri figli e nelle proprie figlie non facciano finta di niente, ma trovino il modo di parlare con loro, senza condannarli ma anzi interessandosi ai loro vissuti, accompagnandoli magari verso un professionista con il quale valutare se iniziare un percorso d’aiuto. Il primo passo è rivolgersi a uno psicoterapeuta, o a un professionista della nutrizione (medico dietologo o nutrizionista). Meglio non aspettare che la situazione diventi di innegabile gravità per intervenire. In alcuni casi risultano molto efficaci interventi che coinvolgano l’arte, mezzo che permette di esprimersi senza sentire direttamente la pressione del giudizio”. Cosa nascondono l’anoressia e la bulimia Nell’anoressia, la persona tende a sparire per poter portare all’evidenza di tutti il proprio dolore. È un dolore inascoltato, taciuto, rifiutato dall’intorno familiare e relazionale, che proprio per questo esplode in una patologia molto severa, che mette seriamente a rischio la vita di chi se ne ammala. Nell’anoressia c’è l’illusione che, se si può controllare una pulsione basilare come la fame, allora si può controllare tutto, persino il dolore, persino la disperazione, diventare forti e inattaccabili. Ma ogni tanto il controllo sulla fame ha cedimenti, ed ecco che, nel 75% dei casi, il disturbo anoressico è accompagnato da sintomi bulimici, cioè da abbuffate incontrollabili subito punite dal vomito auto-indotto, dalla rabbia con se stessi, dal senso di colpa. Spesso si crea un’altalena di periodi in cui domina la rinuncia anoressica ed altri in cui domina la fame indomabile bulimica. Un’alternanza di disperazioni espresse con modalità differenti. Perché quello da contattare e da risolvere è il dolore alla base di questi disturbi: la solitudine, l’incomunicabilità, la disperazione di chi non trova di meglio che tentare di controllare il proprio corpo perché la realtà è ingiusta e incontrollabile, tanto che la rabbia diviene una compagna quotidiana indomabile e molto severa, una lente nera attraverso la quale guardare una realtà priva di speranza e di spunti per un positivo cambiamento. Nell’obesità il grasso si trasforma in una barriera di difesa Anche nell’obesità, come nella bulimia, il cibo diviene una vera e propria dipendenza. Mangiare serve a non sentire temporaneamente il dolore della propria vita, il dolore di non piacersi e non piacere, il dolore di sentirsi soli e non accettabili. Il grasso diviene una barriera con cui difendersi dalle proprie difficoltà, purtroppo, in maniera illusoria. In tutti questi casi, è fondamentale arrivare alle cause profonde del disagio personale, aiutando la persona a sentire le emozioni ritenute inascoltabili e a immaginare possibilità di cambiamento e miglioramento all’interno della propria vita personale e relazionale. Arrivando a portare un po’ di calore dove c’era solo tanta desolazione. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Lo-psicoterapeuta-amore-unico-cibo-contro-anoressia-e-bulimia-4b511b19-e0fb-4d78-be69-e15aba1c4d35.html
Comunicato Stampa – Ospedale di Lanzo: inaugurato oggi il nuovo Centro aziendale per i DCA.
Oggi, all’Ospedale di Lanzo, è stato inaugurato il nuovo Centro aziendale per la prevenzione e la cura dei disturbi del comportamento alimentare, che sarà operativo a partire dal
prossimo lunedì 22 settembre.
Nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) rientrano le patologie che riguardano il rapporto tra gli individui e il cibo, come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa
e i disturbi da alimentazione incontrollata (DAI).