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L’Espresso.Repubblica.it – Anoressia, sono sempre di più i bambini che si ammalano.

I disturbi del comportamento alimentare coinvolgono fasce di ragazzi sempre più giovani: perfino sotto i dieci anni.  E spesso hanno le caratteristiche delle tossicodipendenze

Aveva dodici anni la bambina che poche settimane fa si è tolta la vita a Torino lanciandosi dal balcone di casa: soffriva di anoressia. Una notizia che sgomenta ma purtroppo rivela anche un problema sempre più diffuso. I numeri dei disturbi del comportamento alimentare parlano infatti di tre milioni e mezzo di persone, il 20 per cento sono bambini. E questi sono i dati ufficiali: poi ci sono quelli sommersi, incalcolabili.

Ogni anno si registrano 8.500 nuovi casi di malattie conosciute comunemente come anoressia, bulimia e “binge eating disorder” (disturbo da alimentazione incontrollata), caratterizzato da frequenti abbuffate compulsive con aumento del peso fino all’obesità. Derivano tutte da profondi traumi irrisolti e, quando non conducono alla morte per suicidio o arresto cardiaco, compromettono la vita con gravissimi danni all’organismo e relazionali.

Nonostante la definizione di allarme sociale, in Italia si fa ancora molta fatica ad affrontare questo argomento, spesso relegato solo all’aspetto estetico. Ecco perché Stefano Tavullia ha fondato l’associazione Mi Nutro di Vita e dal 2012 organizza la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, per sensibilizzare sui disturbi, i sintomi, i rischi e le cure possibili. Tavullia ha perso una figlia diciassettenne a causa della bulimia, ma i Dca – disturbi del comportamento alimentare – hanno iniziato a colpire con preoccupante incidenza anche i più piccoli.

«Abbiamo assistito a un repentino abbassamento dell’età di esordio dei primi sintomi. Fino a poco tempo fa, la fascia compresa tra gli 8 e i 14 anni era interessata dal 5 per cento dei casi, mentre oggi è salita al 20», spiega Laura Dalla Ragione, referente scientifico del Ministero della Salute per i Dca e direttore di Palazzo Francisci a Todi, prima realtà italiana residenziale extraospedaliera nata nel 2003 in seno all’Usl Umbria 1.

«Il numero dei bambini», continua Dalla Ragione, «è talmente elevato da aver indotto l’Istituto Superiore di Sanità ad avviare un percorso di formazione sulla diagnosi precoce per medici di base e pediatri su tutto il territorio nazionale. Sono loro i primi ad entrare in contatto con i pazienti ed è necessario che abbiano gli strumenti per riconoscerli. La risposta è stata notevole, così l’Istituto ha superato il tetto massimo previsto all’inizio e lo ha raddoppiato fino a cinquemila iscritti».

L’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce nei Dca la seconda causa di morte per le adolescenti dopo gli incidenti stradali. Ma se fino a pochi anni fa i Dca erano considerati patologie solo femminili, oggi sono diffusi anche tra i maschi (10 per cento), soprattutto nelle nuove forme dell’ortoressia (ossessione da alimentazione sana) e bigoressia (ossessione per il volume muscolare).

Se però i soggetti analizzati sono bambini, molti elementi cambiano: «Tra i pazienti più piccoli, i maschi arrivano al 40 per cento dei casi. E tra i ragazzi c’è la compresenza di altre patologie psichiatriche: la bulimia nervosa ha un’incidenza importante. Nel 63 per cento dei pazienti più giovani, inoltre, l’esordio precoce si accompagna alla crescita di manifestazioni fobico-ossessive, depressione, attacchi di panico e discontrollo degli impulsi. Le patologie hanno sempre conseguenze molto gravi e forme acute. Quello della bambina che si è tolta la vita a undici anni è un episodio tragico e forse inatteso, perché i più giovani praticano spesso l’autolesionismo, mentre il rischio di suicidio di solito si affaccia solo con l’arrivo dell’adolescenza».

Nel febbraio del 2014 si è conclusa la Ricerca nazionale sui Dca adolescenziali e preadolescenziali che il ministero aveva iniziato due anni prima. Un’indagine diretta dalla psichiatra Dalla Ragione su 1.380 soggetti in età compresa tra gli 8 e i 17, con sei centri in altrettante città italiane. I risultati non sono confortanti. Hanno evidenziato che le manifestazioni precoci sostengono percentuali di osteoporosi con blocco dell’accrescimento osseo vicine al 43 per cento.

La conseguenza, si legge nella relazione finale, è che «un bambino di dieci anni con anoressia nervosa e blocco dell’accrescimento osseo non raggiungerà mai la stessa altezza che avrebbe avuto se non si fosse ammalato». Lo studio, inoltre, ha riscontrato qualità e quantità di dispercezione corporea (la mancata corrispondenza tra le immagini corporee reale e percepita) vicine al doppio di quelle presenti nei pazienti tra i 20 e i 30 anni. I riflessi, naturalmente, ricadono pure sullo stress familiare, ed è necessario fornire un sostegno psicologico anche ai parenti che accompagnano la vita del malato.

Una delle prerogative dei Dca consiste nella loro multifattorialità: sono determinati da una pluralità di variabili che scatenano i sintomi e ne influenzano il decorso. Gli approcci terapeutici sono numerosi e differiscono secondo l’orientamento. Ci sono la scuola sistemico-relazionale, quella costruttivista, psicodinamica, cognitiva e molte altre. Numerose sono pure le strutture, residenziali, ambulatoriali e di day hospital, ma troppo poche rispetto alle necessità. Tra le principali ci sono quelle fondate da Fabiola De Clercq (Aba) in sette regioni e il Centro di Terapia Strategica ad Arezzo del professore Giorgio Nardone.

Alcune strutture, soprattutto quelle del servizio pubblico, sono spesso a rischio chiusura, come quella del quartiere Soccavo a Napoli: nonostante un’utenza superiore alle 400 unità. A fornire una mappa completa di associazioni e strutture pubbliche e convenzionate sul territorio nazionale è il sito Internet www.disturbialimentarionline.it , un progetto del ministero della Salute di concerto con quello della Gioventù. Contiene un elenco diviso per regioni e le informazioni relative al numero verde di counseling telefonico 800-180969, anonimo e attivo ad orario continuato dal lunedì al venerdì.

«Le cure previste per i bambini», conclude Dalla Ragione, «si confrontano con l’impossibilità di usare psicofarmaci. Bisogna concentrarsi invece su terapie integrate di carattere familiare, nutrizionale e psicologico. Ecco perché sono importanti le residenze riabilitative in cui ospitare il paziente: ma in Italia solo cinque strutture accolgono giovani sotto i 14 anni.  La ricerca che abbiamo condotto testimonia inoltre che non esistono differenze tra Nord, Centro e Sud, sia per numeri che per caratteristiche del disturbo. Per il modo in cui agiscono, i Dca sono assimilabili a dipendenze come quelle da alcol e droga, e credo sia necessario sottolineare che la letteratura scientifica non ha mai dato cenni di remissioni spontanee della patologia, in tutte le età. Lasciarseli alle spalle e recuperare una vita serena è possibile, ma bisogna curarsi».

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La Stampa.it – Torino, dietro il suicidio di Anna la tragedia delle bimbe anoressiche.

Gli esperti: si abbassa l’età dei primi sintomi, decisivo il ruolo dei pediatri

Anoressici a 7 anni. I primi sintomi a 6 anni selezionando il cibo che si ha nel piatto, masticandolo lentamente, buttandosi a capofitto nello sport. Si è abbassata drasticamente l’età dei disturbi alimentari: i maschi che ne soffrono sono saliti al 15 per cento e la malattia inizia ad essere un peso insormontabile ancor prima dell’inizio delle scuole medie. È stato così anche per Anna, dodicenne di Torino che domenica sera ha preferito buttarsi dal terzo piano di un palazzo in centro piuttosto che sedersi a tavola per cenare.

CASI IN AUMENTO

«È una rabbia antica e profonda, che nasce da piccoli e si manifesta attraverso il cibo: anoressia e bulimia sono una protesta che i genitori, da soli, non sono in grado di gestire», afferma il professor Secondo Fassino, del Centro pilota piemontese di disturbi del comportamento alimentare.

«Solo in Piemonte, nell’ultimo anno i casi sono aumentati del 30 per cento». Stime in cui Anna, però, non rientra: «La sua malattia è iniziata troppo presto. Il Centro segue pazienti dai 15 anni, ma proprio per fronteggiare il fenomeno abbiamo appena aperto a Torino un ambulatorio che faccia da ponte con i casi pediatrici. Ormai la maggior parte degli esordi conclamati avviene prima dei 10 anni», conclude.

TERRORE DA CIBO

Dieci anni li aveva anche Anna, quando ha iniziato a mostrare il suo malessere interiore. È sempre stata esile: una bambolina con i capelli biondi e gli occhi azzurri, che sembrava più piccola della sua età. Poi all’improvviso il sorriso si spegne e iniziano a spuntare le ossa da sotto i vestiti e i pantaloncini da calcio con cui giocava da sola in cortile. Lo scorso anno il primo ricovero: tre mesi di reparto, pasti assistiti e psicoterapia per tutta la famiglia, all’ospedale Regina Margherita di Torino. Domenica sera, il tragico epilogo: una lite con la madre che la invitava a sedersi a tavola, il peso dell’incomprensione troppo grande da sopportare.

SFIDA ANORESSICA

E mentre veniva dichiarata la sua morte, dopo la rianimazione e l’inutile corsa in ambulanza al pronto soccorso, su uno dei tanti blog che si trovano sulla rete per condividere lo stile di vita anoressico, Anix scriveva «Mi presento, sono Anita e ho 15 anni. Peso 43 chili e voglio arrivare a 35. Sono alta 1.62». A risponderle è One Love: «Ciao, se ti va possiamo aiutarci a vicenda». Negli stessi minuti, su un altro sito Trilly pubblica: «Odio la frustrazione di non vedere la bilancia ricambiare i miei sforzi e sacrifici…». Lei ha 26 anni ed è una delle concorrenti del «concorsone» indetto da Crystal Nova sul suo blog: «Il contest finisce venerdì: l’utente che perderà più peso vincerà il titolo di Ana Winner». Dietro nomignoli e profili fantasma, le ragazze si scambiano consigli di ogni tipo su come iniziare la dieta del digiuno e quali precauzioni prendere, con tanto di decaloghi e mantra.

«Regola dei tre bocconi: prova a fermarti al terzo boccone di ogni pietanza. Bevi un bicchiere di acqua ogni ora, possibilmente fredda così brucerai più calorie. Evita la cena, se puoi dalla al tuo cane o buttala di nascosto. Lava i denti dopo aver ingerito qualcosa e porta qualcosa addosso che ti ricordi che Ana – la dea dell’anoressia – è lì con te e ti sta guardando». A dare l’allarme sono anche le associazioni che si occupano di prevenzione a scuola: «Iniziamo già alle elementari – fanno sapere dal Centro Liberter -: il rischio più grande è proprio l’emulazione».

GESTO ESTREMO

Ora la morte di Anna lascia «un dolore pazzesco»: quello dei genitori, dei compagni di classe e delle insegnanti, che non riescono a comprendere come si possa, a 12 anni, compiere un gesto così estremo. «Non la viviamo però come una sconfitta», afferma la professoressa Anna Maria Peloso dell’équipe pediatrica della Città della Salute di Torino che aveva in cura Anna. «È stato fatto tutto quello che si poteva, mettendo in campo ogni risorsa. La famiglia era presente e attenta, ora rimane solo l’impotenza davanti ad un gesto così grande, dato dalla necessità di liberarsi di un peso. L’anoressia è un sintomo, proprio come la febbre».

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La Stampa.it – Anoressia e bulimia, l’obiettivo di chi ne soffre è il “controllo”.

I disturbi alimentari interessano 3 milioni di italiani. I segnali di allarme da tenere d’occhio

A volte, è una modella troppo magra in copertina o in passerella a scatenare la protesta indignata del pubblico. In altri casi, è la notizia del decesso di una giovane ragazzina che aveva smesso di mangiare. La realtà è che i disordini alimentari sono sempre più oggetto di attenzione anche da parte della ricerca scientifica e clinica. Riguardano circa 3 milioni di italiani dei quali 2,3 milioni sono adolescenti. Per il 95% si tratta di donne, ma il fenomeno è in crescita anche tra gli uomini. Secondo l’Istat, la fascia d’età più colpita è quella tra i 18 e i 24 anni, che vede il 2% delle donne soffrire di anoressia, il 4% di bulimia e il 6,2% di altri disturbi alimentari, come il binge eating (le “abbuffate”). Infatti, anoressia, bulimia, binge eating possono compromettere in modo significativo il funzionamento psicosociale e la salute fisica, fino agli esiti più tragici.

L’ ESORDIO É SEMPRE PIÙ PRECOCE 

Come per tutte le psicopatologie, è andata abbassandosi l’età della comparsa dei disturbi, presenti ora anche nei giovanissimi, a 10 o 12 anni o prima. E quindi è partita la ricerca di nuovo indicatori che possano aiutare a prevederne lo sviluppo. «Non esistono indicatori biologici, ma vi sono dei segnali cui prestare attenzione» spiega Gianluigi Mansi responsabile della divisione di psichiatria degli Istituti Clinici Zucchi di Monza e del Servizio per Disturbi Alimentari dell’IRCCS Medea a Bosisio Parini. «Si tratta di una scarsa autostima, isolamento sociale, perfezionismo e terrore di ingrassare, ma anche stranezze alimentari, come selettività al cibo (ad esempio, mangiare solo cibi bianchi) o la tendenza a nasconderlo o sminuzzarlo, un’eccessiva attenzione a cibo, al peso, alle calorie e tendenza a cucinare per gli altri».

LE RIVALITÁ E LE RIVALSE NASCOSTE DIETRO IL DISTURBO

La volontà di avere il controllo della situazione riguarda, infatti, non solo la propria alimentazione ma anche quella altrui. Si parla di “tirannia alimentare” quando c’è la voglia di cucinare per gli altri, stabilire la loro alimentazione, fino a riempirli di cibo, tanto che «nelle ragazze non si esclude una nascosta tendenza alla rivalsa, una sorta di sabotaggio della bellezza di madri e sorelle percepite come rivali» spiega lo psichiatra.

LO SCHERNO DEGLI AMICI E LE CRITICHE IN FAMIGLIA

Tra i fattori di rischio non traumatici che possono favorire la comparsa questi disturbi vi è il sovrappeso infantile, che espone allo scherno dei compagni e alle critiche in famiglia. «Dalle anamnesi, emerge spesso il ruolo determinante dei commenti dei genitori sul fisico e sulle abitudini alimentari (“mangi troppo, guardati”). In questo senso, vi è sempre una fase iniziale in cui siamo tutti complici», commenta lo psichiatra. Tuttavia, madri e padri non vanno colpevolizzati, ma possono svolgere al contrario un ruolo protettivo ed essere di supporto ai vari professionisti medici, aiutando nella progressione della cura.

L’IMMAGINE «DISTORTA» DEL PROPRIO CORPO

L’aspetto psicopatologico centrale, considerato il nucleo del problema, è il cosiddetto disturbo dell’immagine corporea. In generale, la corporeità e la sua percezione non dipendono unicamente dalle caratteristiche fisiche dell’individuo, è globalmente plasmato dalle sue convinzioni, dal suo vissuto e dal contesto sociale che, nei giovani, è particolarmente decisivo. «Il comportamento alimentare diventa così un correttivo di tale immagine di sé» e così «le ragazze che si vedono troppo grasse, ma anche troppo basse, percepiscono il peso come l’unico fattore sul quale è possibile intervenire. Lo stesso per i ragazzi, in particolare coloro che hanno dei dubbi sulla propria virilità e vogliono quindi avere un corpo mascolino» spiega lo psichiatra che si dice convinto di una rapida traduzione in strategie terapeutiche di queste recenti scoperte.

LO “SCHIFO” E IL “DISGUSTO” VERSO IL PROPRIO ASPETTO 

Controllare il peso, l’alimentazione, il rendimento scolastico e i pasti dei parenti: l’idea del controllo è fondamentale in queste persone dall’enorme motivazione e forza di volontà. «Indulgenti verso il corpo degli altri, provano schifo e disgusto per il proprio e mettono in atto delle strategie che hanno la caratteristica cognitiva del “tutto o nulla” che li porta a evitare del tutto il cibo piuttosto che ridurne la quantità» spiega Mansi.

IL RAPPORTO CON LO SPECCHIO

Chi soffre di anoressia si guarda continuamente allo specchio con spietatezza. Anche per questo, se da una parte si vede grasso anche quando è ormai molto magro, tuttavia ha una percezione del proprio corpo dettagliata e precisa: «Abbiamo visto che questi pazienti sanno distinguere gli stimoli tattili con estrema accuratezza. Invece, i soggetti senza problemi, anche quelli in sovrappeso, quando vengono toccati con la punta di un compasso sbagliano nella stima della distanza degli stimoli percepiti: misurano superfici corporee di dimensioni ridotte rispetto al vero. Questa percezione benevola, che chiamiamo misericordia del proprio corpo, ci fa guardare a noi stessi con più indulgenza e manca negli anoressici».

POSSIBILI RIMEDI: PROPORRE PICCOLI OBIETTIVI AL PAZIENTE 

Potrà permanere una certa attenzione al corpo, ma guarire si può. I modelli di trattamento integrato prevedono l’intervento del nutrizionista, la psicoterapia individuale e quella di gruppo per i famigliari, i gruppi di mutuo aiuto. «Per il buon esito dell’intervento, è necessario attendere il momento migliore per un agguato (benevolo) da sferrare quando diminuisce la resistenza a collaborare perché il braccio di ferro con un paziente così tenace e volitivo non porterebbe ad alcun risultato» spiega Mansi. La strategia è cercare la complicità del paziente negoziando di volta in volta gli obiettivi (“devi nutrirti bene per affrontare l’esame di maturità”), senza focalizzarsi sul peso. Ai parenti, oltre a fornire supporto, bisogna spiegare che per mesi potrebbe non accadere nulla.

Di disturbi alimentari si torna a parlare grazie alla letteratura, come il nuovo romanzo di Paolo Crepet “Il caso della donna che smise di mangiare” (Einaudi) o “Non più Briciole” di Chiara Arachi (Longanesi), o grazie alla musica, come nel nuovo video dei Subsonica “Specchio”. Tutte occasioni per aumentare la consapevolezza del grande pubblico e trasmettere il giusto messaggio, che di disturbi alimentari si può morire ma anche guarire.

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Repubblica.it.Genova – Un fiocchetto lilla per legare alla vita ragazze e ragazzi con l’incubo del cibo.

Domani in tutta Italia la giornata “Mi nutro di vita” nel ricordo di Giulia, diciassettenne genovese

Un fiocchetto lilla per legare alla vita ragazze e ragazzi con l’incubo del cibo
Domani in tutta Italia la giornata “Mi nutro di vita” nel ricordo di Giulia, diciassettenne genovese
ERICA MANNA
DOMANI tutta l’Italia si colorerà di lilla. Da Torino a Catania, oltre sessanta città coinvolte per combattere insieme i disturbi alimentari. Domani, il 15 marzo: una giornata nazionale per “capire — prevenire — aiutare”, punto di partenza degli incontri organizzati su tutto il territorio. Il 15 marzo è il giorno di Giulia. Nasce così, infatti, questa giornata: per ricordare lei, una ragazzina genovese di 17 anni che se n’è andata proprio quel giorno di quattro anni fa. «Tutto nasce dalla nostra storia tragica, che mi accomuna a quelle di tanti altri genitori» racconta Stefano Tavilla, papà di Giulia e fondatore dell’associazione Mi Nutro di Vita, che ha promosso il Fiocchetto Lilla rifacendosi alla settimana “pervinca” contro i disturbi alimentari che esiste in America, un appuntamento partito da Genova e diventato nazionale, alla quarta edizione «Dal mio percorso di genitore durante la malattia: ho visto tante mancanze strutturali, tante famiglie soffrire – precisa – Ma la cosa più inaccettabile è il fatto che Giulia era in lista d’attesa. Sì, perché dopo aver raggiunto la consapevolezza di essere malata, ci siamo scontrati con il deficit sanitario che c’è in Italia su queste patologie. Abbiamo dovuto aspettare quaranta giorni, per avere un incontro in una struttura convenzionata, in Veneto. Qui Giulia è stata giudicata idonea a essere ospitata, e messa in lista d’attesa. Quando se n’è andata, era ancora in lista. In Italia, infatti, ci sono una quindicina di strutture pubbliche specializzate. Con un massimo di 20 posti letto ciascuna». E tre milioni di soggetti con disturbi alimentari, con 8.500 nuovi casi ogni anno. Senza contare quelli sommersi.
Inizia da qui, la battaglia di Stefano: perché se «Giulia non ce l’ha fatta, non devono esserci altri ragazzi come lei: bisogna fare prevenzione». Domani alle 15.30almuseodiSant’Agostino di piazza Sarzano ci sarà la premiazione del concorso letterario nazionale “Mi nutro di parole”, promosso da Mi nutro di vita. Una giornata realizzata con Consult@noi e Aics e il patrocinio della Regione Liguria: durante la quale si confronteranno Concetta De Salvo, direttore sanitario della “Casa della salute” di Brusson, Emilia Marasco, docente di scrittura creativa all’Accademia Ligustica, Ilaria Caprioglio, scrittrice e vicepresidente di Mi nutro di vita, e la giornalista Rosanna Piturru. Per raccontare un mondo in cui anoressia e bulimia sono le patologie più diffuse, insieme al binge eating disorder, un disturbo caratterizzato da abbuffate compulsive. Una piaga, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanita: i disturbi del comportamento alimentare, infatti, sono la seconda causa di morte per le adolescenti dopo gli incidenti stradali. Proprio per questo la prevenzione è fondamentale. «Lavoriamo sempre più nelle scuole — spiega Stefano Tavilla — i nostri volontari vanno a parlare con i giovani, insieme a

un medico e a qualcuno che racconti la propria esperienza ». Poi, c’è Internet. «Mi nutro di vita è anche un blog — spiega — un modo per aprirsi, grazie all’anonimato ». I sintomi dei disturbi alimentari, infatti, oggi si manifestano sempre prima: già tra gli 8 e i 12 anni. In ragazze ancora più giovani di Giulia, che come lei rischiano di non fare in tempo a diventare grandi.

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Comunicato Stampa – Centro DCA Ospedale di Lanzo: il punto a sei mesi dall’apertura.

Centro DCA Ospedale di Lanzo: il punto a sei mesi dall’apertura.

Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale di Lanzo: facciamo il punto a sei mesi dall’apertura, in occasione dell’adesione alla Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla

Il Centro aziendale per la prevenzione e la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Ospedale di Lanzo è operativo dallo scorso 22 settembre e ora, a circa sei mesi
dall’apertura, in occasione dell’adesione alla Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, facciamo il punto sull’attività svolta.

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Castedduonline – I genitori di Claudia: “Morta di malasanità, qualcuno dovrà pagare”.

La vera storia di Claudia, la ragazza cagliaritana morta di anoressia, raccontata dai genitori: “Un calvario per cercare di curarla, in Sardegna nessuna struttura. E Ryanair l’ha umiliata facendola viaggiare in barella al centro dell’aereo. Trattati peggio degli animali”

La morte di Claudia per anoressia ha destato grande commozione a Cagliari e in tutta Italia. Sui social sono arrivati centinaia di messaggi d’affetto e di solidarietà verso una ragazza che è andata via troppo presto. Giancarlo Piredda e Paola Farci, genitori della ragazza, ancora distrutti dal dolore, hanno deciso di parlare e di descrivere la loro tragica storia. In ogni angolo della casa di San Benedetto è ancora presente l’immagine di Claudia ed emerge immediatamente dai loro racconti il lungo calvario che hanno dovuto affrontare per cercare di curare e salvare la propria figlia prima dalla bulimia e poi dall’anoressia. Il caso di Claudia è diventato un esempio simbolo per le tante persone che devono convivere con la malattia. Claudia aveva compiuto 27 anni lo scorso 24 settembre. La sua vita si è spezzata in una fredda mattina d’inverno. Alle 11,50 del 23 gennaio il suo cuore ha cessato di battere. Il suo corpo non reagiva più alle medicine. C’è  grande rabbia e tanta sofferenza nei volti dei genitori che si sono sentiti traditi dalle istituzioni e dalle strutture sanitarie inesistenti e inadeguate in Sardegna. “La morte di Claudia deve servire da monito a tutte le persone che si scontrano con la malasanità e con il muro di gomma che certe persone incompetenti innalzano in casi come questi. Non sappiamo di chi siano le responsabilità della morte di nostra figlia, ma sappiamo che molte cose non hanno funzionato. Chi ha sbagliato deve pagare e la sua coscienza non si potrà liberare facilmente di quanto è accaduto. Noi ci batteremo per scoprire la verità e per sapere come sono andate le cose. Non possiamo permettere che il suo caso si possa ripetere e non possiamo accettare che una ragazza possa morire di anoressia. Claudia non ce la restituirà nessuno ma vogliamo solo che venga fatta giustizia. Quello che abbiamo vissuto non dovrà accadere mai più”.

Chi era Claudia? Come ha vissuto la sua malattia?

Claudia era una ragazza timida ma socievole, buona e ha avuto un’infanzia tranquilla. Ha frequentato le scuole elementari di Sant’Alenixedda,  poi con le sue compagne d’infanzia le medie al Cima. Le superiori le aveva iniziate all’Istituto Magistrale di via Carboni Boi. A 16 anni, dopo appena due anni di liceo, erano comparsi i primi sintomi della bulimia. L’inizio del suo dramma è iniziato molto presto. A 12 anni era già arrivato il diabete. Una malattia che lei non ha mai accettato perché si sentiva diversa dalle altre sue amiche. La condizionava molto il doversi privare di tutto quello che un’adolescente vive a quell’età. Era costretta a fare 5 volte al giorno l’insulina perché era scompensata. Ci eravamo rivolti al centro pediatrico del Brotzu che l’aveva presa in cura.

Quali sono stati i primi sintomi della bulimia? Come vi siete accorti che qualcosa non stava procedendo per il verso giusto?

Quando claudia aveva 16 anni la diabetologa che la seguiva ci aveva suggerito di portarla dall’unico psichiatra che operava in Sardegna al Centro di salute mentale di viale Bonaria. In quegli anni la malattia era ancora poco diffusa e poco conosciuta.

Cosa è accaduto dopo?

Il medico ha confermato che Claudia aveva un disturbo sull’alimentazione e ci aveva indicato di portarla ogni 15 giorni per i controlli. Le aveva ordinato una pastiglia, “il Zolof”. Il rapporto tra il medico e nostra figlia non ha avuto un grande successo. Non è mai entrato in sintonia con la ragazza al punto tale che Claudia si rifiutava di andarci e di curarsi. Alcune sue frasi inopportune sullo stato fisico lo avevano allontanato definitivamente.

Quali sono state le conseguenze che Claudia ha dovuto affrontare?

Dopo circa due anni Claudia passava da uno stato di gonfiore ad uno stato di presunta normalità. In quel periodo erano sbocciate le sue prime storie d’amore e aveva smesso di giocare a pallavolo. A 14 anni il diabete l’aveva distrutta in una fase della crescita fondamentale e importante.

Come siete intervenuti e come mai il centro di salute mentale non vi ha affiancato uno psicologo e un nutrizionista?

Non potevamo sapere che fosse necessario. Noi ce lo siamo chiesti dopo ma forse quando era troppo tardi. Ci siamo rivolti all’unico che trattava la malattia e ci siamo fidati. In quel periodo nostra figlia si era ripresa forse anche grazie alle sue amicizie e ai primi amori come succede a tutte le ragazze della sua età.La situazione di Claudia è cambiata in negativo dopo l’ultima storia d’amore vissuta con un ragazzo che l’aveva lasciata da un giorno all’altro e per il quale aveva sofferto tantissimo. Da quel momento Claudia è cambiata, ha iniziato a dimagrire e a rifiutare il cibo. Quando mangiava ci dava le spalle ed era rivolta verso i fornelli forse per nascondere il suo stato e sentirsi libera di sputare quel poco che riusciva ad ingurgitare.Aveva iniziato ad isolarsi e sembrava che la sua testa fosse da qualche altra parte e vivesse un’altra realtà.Ci siamo allarmati e ci siamo rivolti ad una psicologa che ci aveva suggerito di portarla fuori dalla Sardegna e precisamente a Villa Garda.Di fatto è stata una nostra scelta perché ci siamo sentiti soli e abbandonati da tutti. Abbiamo appreso solo oggi dal vostro giornale che in Sardegna esiste un centro specializzato per l’anoressia gestito della dottoressa Manuela Pintor e dal dottor Carlo Ripoli. Nessuno dei medici a cui ci eravamo rivolti ci aveva mai indicato questa soluzione. Caschiamo dalle nuvole. Il nostro dramma era appena iniziato in tutta la sua dimensione.

Villa Garda è stata utile? Quanto tempo è rimasta ricoverata?

Il primo ricovero risale al 2007 ed era durato circa sei mesi. Claudia era passata da 37 a 48 chili.Dopo il rientro a Cagliari però è iniziato il suo declino. Non voleva andare più da nessuna parte e rifiutava ogni cura. Pensava di riuscire ad uscirne da sola e con l’aiuto dei suoi amici. Non sapevamo più cosa fare. In nostro soccorso sembrava fosse arrivato un diabetologo del S.S. Trinità. Ci aveva indicato di rivolgerci a “certi” psicologi. Eravamo in una situazione pazzesca,ormai allo sbando, e il tutto aveva minato la nostra serenità familiare e messo in discussione i rapporti tra noi. Un vero e proprio calvario che ci è costato lacrime e sangue. In quel periodo abbiamo speso cifre improponibili ed eravamo nelle mani di gente senza scrupoli. Siamo arrivati ad un punto di esasperazione totale e non sapevamo più cosa fare e a chi rivolgerci.

Siete rimasti prigionieri di una sanità impreparata ad affrontare il problema anoressia? Cosa resta di questa tragica esperienza?

Eravamo nelle mani di dilettanti. Alla fine dopo aver capito le logiche che li guidava abbiamo mollato quei medici ma la vera vittima di tutto questo caos era Claudia. Non si vedevamo segni di miglioramento. Nostra figlia aveva smesso di reagire e sembrava essersi arresa. Non conduceva più una vita normale per la sua età. Non aveva molta voglia di uscire,era sempre in casa e rifiutava la vita. Nel 2012 dopo la morte della nonna che viveva con noi, la situazione rischiava di precipitare. Ci siamo rivolti a due centri specializzati per tentare ogni possibile soluzione. Uno era a Vercelli e l’altro a Vicenza, a Villa Margherita. Claudia in quel periodo stava già abbastanza male e non voleva essere ricoverata, rifiutava le cure e non potevamo obbligarla perché ormai era maggiorenne. Un dramma senza fine. Eravamo soli e disperati, per Claudia eravamo l’unico punto di riferimento. La mamma era diventata la sua migliore amica. Si appoggiava solo alla nostra famiglia e a Giulia, l’unica con cui dialogava e le stava vicina.

Nel 2012 la situazione è peggiorata?

Le si gonfiavano le gambe, era dimagrita tantissimo e si era ridotta a pesare 32 chili. In quel periodo non eravamo stati supportati da nessuno. Eravamo costretti a rivolgerci molto spesso alle strutture pubbliche.Le risposte che ci davano al Brotzu e al SS.Trinità erano disarmanti: “Non è qui che la dovete portare”. Rifiuti su rifiuti che avevano minato la nostra stabilità e avevano distrutto le nostre poche certezze. Solo lo scorso anno la situazione era rimasta stabile. Claudia pesava sllo 30 chili e la seguiva solo il diabetologo. Era l’unico che ci aiutava anche se aveva invaso in modo devastate la nostra sfera familiare.

Come siete arrivati ad Arezzo?

Dopo aver visto un programma televisivo abbiamo deciso di tentare un’altra strada. Avevamo contattato il Centro riabilitativo per l’anoressia, “L’Auryn”. In quella struttura le pazienti cucinavano quello che mangiavano. A Claudia era piaciuta l’idea e aveva deciso di partire. Sembrava ci fossero miglioramenti ma a settembre la situazione è precipitata. Claudia aveva iniziato a gonfiarsi fino al  bacino. Il suo corpo si era trasformato e camminava con fatica. Era stata portata spesso al pronto soccorso e i suoi valori sembravano stabili. Il dramma che l’ha portata alla morte è iniziato il 14 ottobre giorno in cui è stata ricoverata d’urgenza al San Donato prima in Nefrologia e poi in medicina generale. Analisi di tutti i tipi, liquidi di contrasto, tac , ecografie e valori alle stelle che in poche ore hanno minato il corpo di Claudia che versava in condizioni quasi disperate. Ci dissero di  tornare a Cagliari e di ricoverarla al Brotzu perché non riuscivano a cavarne niente. Sono state ore drammatiche. Un viaggio in aereo che si è trasformato in un’odissea perché Ryanair si rifiutava di imbarcare mia figlia che è poi finita in barella e al centro dell’aereo per l’intervento della Polfer. Un’umiliazione per lei e per noi che non dimenticherò mai. Trattati peggio degli animali.

Al Brotzu Claudia ha cessato di vivere. Come intendete procedere nei prossimi giorni?

Non doveva finire così. Qualcuno ha sbagliato e dovrà pagare per questo. Stiamo raccogliendo le cartelle cliniche e cercheremo di fare chiarezza su quanto è accaduto. Claudia non ce l’ha fatta ma la sua morte non sarà inutile. Non dobbiamo permettere che quello che abbiamo dovuto sopportare noi lo possano vivere altre persone. Il sistema metabolico non funzionava più e la situazione è precipitata senza una motivazione logica. Il suo corpo non reagiva più e il calvario è finito dopo una settimana. Claudia è morta il 23 gennaio alle 11,50 ma non c’era più e ogni cura era diventata inutile.

adminCastedduonline – I genitori di Claudia: “Morta di malasanità, qualcuno dovrà pagare”.
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Rainews.it – Lo psicoterapeuta: l’amore è un ingrediente fondamentale contro anoressia e bulimia.

“Portare un po’ di calore dove c’era tanta desolazione” il consiglio dello psicoterapeuta Giovanni Porta per sconfiggere i disturbi dell’alimentazione

E’ capitato a tutti di usare o di rifiutare il cibo in momenti di stress o in situazioni difficili. Lo psicoterapeuta Giovanni Porta, spiega i fattori a cui prestare attenzione con noi stessi e con i nostri figli.   “È difficile descrivere in maniera generale i fattori che facilitano l’insorgere dei disturbi del comportamento alimentare – afferma Porta – Il primo, e il più ampiamente analizzato, riguarda la famiglia di origine. Non a caso, il periodo con l’insorgenza maggiore di anoressia, bulimia e abbuffate incontrollate (binge eating) si ha in età adolescenziale, momento in cui il rapporto con la famiglia conosce una profonda trasformazione, che spesso mette in evidenza difficoltà di relazione preesistenti”.   Il più necessario dei nutrimenti è l’amore “Ci sono famiglie in cui ai figli viene a mancare il più necessario dei nutrimenti: l’amore – spiega lo psicoterapeuta – Questo può avvenire per ragioni che hanno a che fare con problematiche personali non risolte dai genitori. I figli sviluppano e si abituano a convivere con un profondo senso di solitudine, quasi un’impossibilità a sentirsi visti e riconosciuti, e può capitare che alcuni cerchino di controllare in maniera ossessiva il proprio corpo per avere un illusorio senso di padronanza di fronte a una realtà verso la quale si sentono impotenti, o almeno incapaci di ottenere ciò che a loro interessa davvero”.   Il cibo può essere visto dagli adolescenti come un nemico che rovina la bellezza Ma le difficoltà nel rapporto con la famiglia di origine, naturalmente, non sono l’unica causa scatenante.“L’adolescenza è un periodo estremamente delicato nella vita di una persona – continua lo specialista – durante il quale il corpo di ognuno subisce profonde trasformazioni e le relazioni si complicano. È il momento in cui per la prima volta si inizia ad avere a che fare con erotismo e sessualità, e il desiderio di piacere a potenziali partner diventa più pressante. Il cibo può essere il luogo dentro il quale nascondersi e con il quale consolarsi (come nel caso delle abbuffate incontrollate) oppure qualcosa da evitare con attenzione: un nemico che rovina la nostra bellezza”.   Le cause dei disturbi alimentari Durante l’adolescenza è “elevata la paura del giudizio – sottolinea Porta – la difficoltà di adattarsi alle prime, a volte feroci forme di competizione tra coetanei, timidezza, problemi relazionali, difficoltà a convivere con la frustrazione, rigidità, scarsa autostima ecc. sono tutti fattori personali che possono facilitare l’insorgere di disturbi del comportamento alimentare. Alle volte si inizia per gioco, o come sperimentazione, e ci si trova poi ad avere a che fare con una vera e propria dipendenza”.   Un rapporto malato con il cibo può diventare una dipendenza “Come nelle dipendenze da sostanze stupefacenti, una cattiva abitudine (dimagrire troppo, vomitare, oppure abbuffarsi) – sostiene lo psicoterapeuta – diviene un comportamento di cui non si riesce più a fare a meno. Diviene un modo ‘magico’ per dominare emozioni troppo spiacevoli o per avere l’illusione di controllare situazioni che sfuggono di mano. Ma è una magia di cui prima o poi si paga un conto salato”.   L’arte spesso può aiutare i ragazzi “È importante – ribadisce lo psicologo – che i genitori che si accorgono dell’esistenza di forme di disagio nei propri figli e nelle proprie figlie non facciano finta di niente, ma trovino il modo di parlare con loro, senza condannarli ma anzi interessandosi ai loro vissuti, accompagnandoli magari verso un professionista con il quale valutare se iniziare un percorso d’aiuto. Il primo passo è rivolgersi a uno psicoterapeuta, o a un professionista della nutrizione (medico dietologo o nutrizionista). Meglio non aspettare che la situazione diventi di innegabile gravità per intervenire. In alcuni casi risultano molto efficaci interventi che coinvolgano l’arte, mezzo che permette di esprimersi senza sentire direttamente la pressione del giudizio”.   Cosa nascondono l’anoressia e la bulimia Nell’anoressia, la persona tende a sparire per poter portare all’evidenza di tutti il proprio dolore. È un dolore inascoltato, taciuto, rifiutato dall’intorno familiare e relazionale, che proprio per questo esplode in una patologia molto severa, che mette seriamente a rischio la vita di chi se ne ammala. Nell’anoressia c’è l’illusione che, se si può controllare una pulsione basilare come la fame, allora si può controllare tutto, persino il dolore, persino la disperazione, diventare forti e inattaccabili. Ma ogni tanto il controllo sulla fame ha cedimenti, ed ecco che, nel 75% dei casi, il disturbo anoressico è accompagnato da sintomi bulimici, cioè da abbuffate incontrollabili subito punite dal vomito auto-indotto, dalla rabbia con se stessi, dal senso di colpa. Spesso si crea un’altalena di periodi in cui domina la rinuncia anoressica ed altri in cui domina la fame indomabile bulimica. Un’alternanza di disperazioni espresse con modalità differenti. Perché quello da contattare e da risolvere è il dolore alla base di questi disturbi: la solitudine, l’incomunicabilità, la disperazione di chi non trova di meglio che tentare di controllare il proprio corpo perché la realtà è ingiusta e incontrollabile, tanto che la rabbia diviene una compagna quotidiana indomabile e molto severa, una lente nera attraverso la quale guardare una realtà priva di speranza e di spunti per un positivo cambiamento.   Nell’obesità il grasso si trasforma in una barriera di difesa Anche nell’obesità, come nella bulimia, il cibo diviene una vera e propria dipendenza. Mangiare serve a non sentire temporaneamente il dolore della propria vita, il dolore di non piacersi e non piacere, il dolore di sentirsi soli e non accettabili. Il grasso diviene una barriera con cui difendersi dalle proprie difficoltà, purtroppo, in maniera illusoria.   In tutti questi casi, è fondamentale arrivare alle cause profonde del disagio personale, aiutando la persona a sentire le emozioni ritenute inascoltabili e a immaginare possibilità di cambiamento e miglioramento all’interno della propria vita personale e relazionale. Arrivando a portare un po’ di calore dove c’era solo tanta desolazione. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Lo-psicoterapeuta-amore-unico-cibo-contro-anoressia-e-bulimia-4b511b19-e0fb-4d78-be69-e15aba1c4d35.html

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Comunicato Stampa – Ospedale di Lanzo: inaugurato oggi il nuovo Centro aziendale per i DCA.

All’Ospedale di Lanzo inaugurato oggi il nuovo Centro aziendale
per i disturbi del comportamento alimentare

Oggi, all’Ospedale di Lanzo, è stato inaugurato il nuovo Centro aziendale per la prevenzione e la cura dei disturbi del comportamento alimentare, che sarà operativo a partire dal
prossimo lunedì 22 settembre.
Nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) rientrano le patologie che riguardano il rapporto tra gli individui e il cibo, come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa
e i disturbi da alimentazione incontrollata (DAI).

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Reg. Piemonte – Attivato presso Ospedale di Lanzo il Centro aziendale per i DCA.

22/08/2014 Torino: attivato presso l’Ospedale di Lanzo il Centro aziendale per la prevenzione e la cura dei disturbi del comportamento alimentare

Chivasso: Con una delibera dello scorso 5 agosto, la Direzione Generale dell’ASL TO4 ha approvato il progetto dell’Unità multidisciplinare di prevenzione e cura dei disturbi del comportamento alimentare e ha definito l’équipe multidisciplinare che la renderà attiva. Progetto che sarà operativo a partire dal 22 settembre prossimo, al termine dei lavori di adeguamento dei locali destinati all’Unità.

Nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) rientrano le patologie che riguardano il rapporto tra gli individui e il cibo, come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa e i disturbi da alimentazione incontrollata (DAI).
I disturbi del comportamento alimentare sono complesse malattie della sfera psichica che portano, chi ne è affetto, a vivere con l’ossessione del cibo, del peso e dell’immagine corporea.

Il peso, tuttavia, non è un marcatore clinico obbligatorio di disturbi del comportamento alimentare, perché anche persone di peso corporeo normale possono essere affette dalla patologia.
Si tratta di disturbi che possono compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico, ecc.) e portare a morte.

Colpiscono con più frequenza le giovani donne e tendono a essere molto mutevoli, anche nello stesso individuo. L’età di esordio si è abbassata e non è raro ormai trovare forme di disturbi del comportamento alimentare anche tra bambini e pre-adolescenti.
Da “Le Buone Pratiche di cura nei Disturbi del Comportamento Alimentare”, pubblicazione promossa dal Ministero della Salute e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Gioventù, uscita nel febbraio 2014, si possono ricavare dati che aiutano a comprendere l’entità del fenomeno.

In Italia, i disturbi del comportamento alimentare coinvolgono circa tre milioni di giovani, di cui il 95,9% donne e il 4,1% uomini.
La letteratura internazionale indica che, rispetto alla popolazione generale, i casi di anoressia nervosa sono compresi tra 1,4 e 2,8% (con valori inferiori riferiti per la popolazione maschile: 0,24%), percentuale che arriva al 4% se si aggiungono anche i disturbi sottosoglia. I casi di bulimia nervosa sono circa il 5% e tutti gli altri disturbi del comportamento alimentare il 6%.
Il numero di nuovi casi in un anno sono 102 per 100.000 abitanti per l’anoressia nervosa e 438 per 100.000 abitanti per la bulimia nervosa. I disturbi bulimici sono in rilevante aumento negli ultimi decenni.

Il numero di decessi in un anno, rispetto a coloro che soffrono di un determinato disturbo del comportamento alimentare, sono i seguenti: per l’anoressia nervosa tra 5,86 e 6,2%, per la bulimia nervosa tra 1,57 e 1,93% e per gli altri disturbi tra 1,81 e 1,92%.
Alcuni studi affermano che la percentuale di utenti che afferiscono ai centri clinici con domanda di cura per disturbi del comportamento alimentare è del 27,5% per anoressia nervosa, 21,5% per bulimia nervosa e 11,4% per gli altri disturbi. Questi dati sono preoccupanti se si considerano il crescente numero di casi e l’elevato tasso di mortalità. Inoltre, circa il 60-70% delle persone con disturbi del comportamento alimentare che si rivolgono ai servizi di salute mentale ottiene risposte terapeutiche aspecifiche e non ottimizzate per la cura e la gestione dei DCA. Senza considerare la difficoltà, spesso, nell’individuare precocemente queste patologie e nel raccordare la domanda di cura e i servizi di assistenza offerti. Da qui il bisogno di creare centri dove la patologia possa essere affrontata in modo appropriato e multidisciplinare.

“Nella nostra Azienda – spiega il Direttore Generale dell’ASL TO4, dottor Flavio Boraso – esisteva già un piccolo gruppo di operatori, costituito da professionisti del Dipartimento di Salute Mentale e della struttura di Dietetica e Nutrizione Clinica, che si occupava con grande impegno e competenza dei disturbi del comportamento alimentare. Ma questi operatori non disponevano di una sede dedicata né di personale di supporto, per cui non esisteva un percorso di cura strutturato per le persone affette dai disturbi in questione”.
“Noi abbiamo voluto investire – continua il dottor Boraso – per creare un vero e proprio Centro aziendale dedicato alla prevenzione e alla cura dei disturbi del comportamento alimentare, perché si tratta di problemi che alterano profondamente la qualità di vita degli interessati, che spesso sono giovani, e delle loro famiglie. Peraltro, nella nostra Regione l’offerta pubblica di servizi per tali patologie non pare sufficiente ad accogliere il fabbisogno espresso, con necessità di ricorrere ai servizi privati ed extra aziendali”.
“Abbiamo assegnato una sede fisica al Centro, presso l’Ospedale di Lanzo, – conclude il dottor Boraso – scelta legata alla tipologia di ambiente, immerso nel verde e particolarmente gradevole e luminoso. Abbiamo dotato il Centro di locali adeguati e abbiamo rafforzato l’équipe multidisciplinare, puntando su risorse già in forze all’ASL, considerato che ormai è accertato che il trattamento multidisciplinare sia il miglior approccio di cura per chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare. All’équipe multidisciplinare è stato dato mandato di predisporre un progetto a valenza aziendale che potenziasse le attività in essere e che mettesse in rete le professionalità coinvolte nella problematica. Il progetto è stato elaborato. Ed è un progetto che definisce un percorso di cura appropriato e chiaro per tutti i cittadini della nostra Azienda che soffrono di disturbi del comportamento alimentare”.
L’équipe multispecialistica dedicata alla cura delle persone affette da disturbi del comportamento alimentare è costituita da medici psichiatri, da psicologi, da medici specializzati in dietetica e nutrizione clinica esperti nel settore tra cui la dottoressa Lilia Gavassa, Responsabile della struttura di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Azienda, e da dietiste esperte nel settore. Operatori che, peraltro, possono avvalersi delle consulenze dei medici della Medicina di Lanzo, della struttura di Recupero e Rieducazione Funzionale, dell’Ostetricia e Ginecologia di Cuorgnè e della Medicina Nucleare di Ivrea. Referente aziendale e Coordinatore dell’équipe multispecialistica è la dottoressa Maria Ela Panzeca, medico psichiatra della sede di Ciriè del Dipartimento di Salute Mentale.
Per accedere al Servizio, le persone interessate, i loro familiari, i medici di famiglia o gli altri Servizi invianti, potranno prendere contatto con il servizio di accoglienza del Centro presso l’Ospedale di Lanzo, sede del Servizio. La presa in carico delle persone affette da disturbi del comportamento alimentare prevede l’accoglienza da parte di operatori appositamente formati, con accesso dalle 8,30 alle 16,30 dal lunedì al venerdì. Questi operatori garantiscono la prenotazione degli appuntamenti, ricevono le persone interessate e le loro famiglie e fungono da coordinamento tra le varie figure professionali dell’équipe, non sempre presenti contemporaneamente nel Centro.

Alla fase d’accoglienza segue la prima valutazione clinica, attraverso visite psichiatriche o nutrizionali o congiunte psichiatrico-nutrizionali, e, quindi, la definizione del progetto terapeutico individuale.

L’Unità per la Prevenzione e il Trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare definisce il progetto terapeutico individuale con l’obiettivo di mantenere la persona assistita nel proprio ambiente di vita. Si privilegia sempre, quindi, il trattamento ambulatoriale.

Trattamento che può prevedere psicoterapia individuale, visite dietologiche e/o terapia dietetica, farmacoterapia, terapia familiare, incontri collettivi psicologico-psichiatrici con le persone interessate, incontri collettivi psichiatrico-dietologici con gli interessati e/o le loro famiglie, gruppi psico-educazionali, gruppi di psicoterapia espressivo-corporea, gruppi di immagine corporea e skill training (potenziamento delle abilità carenti).

Tuttavia, qualora si renda necessario, sarà assicurato il ricovero in Day Hospital nutrizionale (Ospedale di Ivrea), il ricovero in Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura – SPDC (Ospedale di Ivrea) o il ricovero in Medicina (Ospedale di Lanzo).

Il ricovero in Day Hospital nutrizionale a Ivrea è effettuato nei casi di anoressia nervosa e bulimia nervosa, quando si rendano necessari un monitoraggio e un rapporto più stretto tra dietologo/dietista e persona assistita, per la coesistenza di un rischio clinico legato, per esempio, a malnutrizione.
Anche il ricovero in SPDC a Ivrea è previsto nei casi di anoressia nervosa e bulimia nervosa, ma in presenza, per esempio, di elevata frequenza di crisi bulimiche e di abuso importante di metodi purgativi, di pesanti comportamenti autolesivi ed elevato rischio di suicidio, di elevata compresenza di problemi psichiatrici, di conflittualità insostenibile in famiglia o di mancata risposta al trattamento ambulatoriale.

Il ricovero presso la Medicina di Lanzo è limitato alle persone affette da Disturbo da Alimentazione Incontrollata, in presenza, per esempio, di aumento di peso grave, rapido e incontrollabile, con eventuale coesistenza di complicanze internistiche, di abbuffatte compulsive non più controllabili o di mancata risposta al trattamento ambulatoriale. Gli operatori della Medicina saranno formati in modo specifico.
Al termine dell’eventuale ricovero, la persona assistita ritornerà al Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare di Lanzo per una nuova ridefinizione del progetto terapeutico e per la ripresa del percorso di cura.

Poiché le utenti affette da disturbi del comportamento alimentare hanno spesso problematiche ginecologiche e del metabolismo dell’osso (osteoporosi), sono stati costruiti percorsi preferenziali di accesso rispettivamente presso l’Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Cuorgnè e presso la Medicina Nucleare dell’Ospedale di Ivrea.
Infine, ma non per ordine di importanza, è opportuno focalizzare l’attenzione sulla prevenzione.

L’Unità per la Prevenzione e la Cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare, per suo stesso mandato, si attiverà per creare collaborazioni con il territorio e, in particolare, con le scuole, per proseguire un progetto di prevenzione già avviato negli anni precedenti. In quest’ottica, l’Ospedale di Lanzo potrà diventare punto di riferimento e offrire spazi per dibattiti e per momenti di approfondimento aperti alle famiglie e agli operatori.
Anche con l’intervento di esperti, come psicoanalisti e sociologi, con i quali abitualmente l’équipe collabora.

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Donneuropa.it – Mary Garret: “In Italia su anoressia e bulimia c’è la volontà di tacere”.

Per molti anni ballerina solista de La Scala di Milano, ha aperto il vaso di Pandora raccontando quanto siano diffusi i disturbi del comportamento alimentare anche nel mondo della danza

Il 15 marzo ricorre la terza edizione della Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla contro i disturbi del comportamento alimentare, che si svolgerà contemporaneamente in quaranta città italiane dando vita a spettacoli, incontri e dibattiti per parlare di anoressia e bulimia. Testimonial dell’iniziativa è Mariafrancesca Garritano, in arte Mary Garret, per molti anni ballerina solista de La Scala di Milano, che sulla sua esperienza nel mondo del balletto ha anche scritto un libro “La verità, vi prego, sulla danza!” (2010) senza nominare però ancora espressamente l’anoressia.

Proprio lei, in seguito, ha aperto il vaso di Pandora raccontando in un’intervista all’Observerquanto siano diffusi questi disturbi tra le ballerine. Un argomento che in quell’ambiente è particolarmente delicato, e affrontarlo espone inevitabilmente a seri problemi; alla Garritano, non a caso, è capitato di perdere il suo posto al teatro. Il modo in cui ha raccontato la sua esperienza l’ha trasformata da apprezzata artista quale era considerata a figura scomoda per l’ambiente, il che non le è costato solo il lavoro ma anche l’isolamento da parte delle colleghe.

Mary però non si è arresa e oggi si dà da fare per aiutare le ragazze che entrano nel tunnel dei disturbi alimentari, e racconta: “Sono socia onoraria dell’associazione ‘Mi nutro di vita’ che organizza ogni anno la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica su queste malattie anche attraverso la testimonianza di coloro che hanno sofferto e soffrono di Dca e dei loro familiari. Il modello è quello americano che prevede però un’intera settimana dedicata alla lotta contro i disturbi alimentari. La data scelta, non a caso, è quella del 15 marzo per ricordare Giulia, figlia del presidente dell’Associazione di Genova Stefano Tavilla, una ragazza bulimica che purtroppo non ce l’ha fatta”.

Parlare apertamente di anoressia e bulimia è l’unico modo per affrontarle, perché sono moltissime le componenti che portano allo sviluppo di queste malattie. Sta di fatto che in ambienti come quello della moda e del balletto sembrano rappresentare un male endemico. “Nel mondo della danza le bambine iniziano in giovane età e si trovano a competere ad alti livelli confrontandosi con stereotipi molto rigidi circa il tipo di fisico che una ballerina classica deve avere. Il professionismo precoce spinge ad entrare in conflitto con il proprio corpo quando comincia a cambiare, dopo lo sviluppo. È facile, quindi, rimanere vittime di un giudizio implicito che fa desiderare di voler essere magri per arrestare la crescita del proprio corpo”.

“In prima persona – racconta Mary Garret – sono stata influenzata al punto di ritenere di avere un problema con la forma fisica. Sono cose che feriscono. Così dimagrire diventa un mantra quotidiano e decurtare il cibo diventa una prassi. Naturalmente poi si instaura un circolo vizioso, perché scatta il meccanismo dell’autocompiacimento che si prova nel vedersi sempre più magri”.

Ma nell’ambiente del balletto gli stereotipi non sono stati sempre così rigidi, e anzi la Garritano ci racconta che gli standard della danza sono cambiati nel tempo: “Una volta le ballerine avevano anche una fisicità importante. Quello della necessaria leggerezza è un falso mito da sfatare perché in realtà è tutta questione di coordinazione”. Quindi è l’ideale estetico che è mutato nel tempo. Come del resto è cambiato anche nell’ambiente della moda: non è un caso che spesso sono richieste dagli stilisti modelle scheletriche, senza forme e portatrici di una “magrezza asessuata”.

L’aspetto che colpisce maggiormente è il silenzio assordante che circonda le persone che soffrono di questi disturbi, a proposito dei quali manca un’adeguata informazione: “Sui Dca in Italia c’è grossa disinformazione, e in alcuni settori c’è addirittura la volontà di tacerne. Di conseguenza gli esperti trovano molte difficoltà nel produrre studi statistici al riguardo: le porte delle scuole di danza sono impenetrabili per medici e psicologi. Il motivo è che si vuole negare che queste malattie esistano. I ballerini non sono educati a una corretta alimentazione e non hanno alcun supporto per quanto riguarda la loro autostima, nonostante sia questo un campo che la mette a dura prova per via dell’altissima competizione e del diffuso arrivismo”.

Mentre all’estero si affronta la questione con serietà, nel nostro Paese si continua a ignorarla e “non si fa prevenzione. Dal 2011 esistono dei protocolli europei che prevedono polizze assicurative sui disturbi del comportamento alimentare per le compagnie di danza. Ma in Italia queste polizze non esistono”.

La colpa, chiaramente, non è della danza intesa come forma d’arte. E il talento non ha nulla a che vedere con la fragilità di alcune delle persone che la praticano. Resta il fatto che Mary Garret si è trovata esclusa da quell’ambiente duro e competitivo, ma è convinta di aver fatto la scelta giusta: quella di raccontare la sua esperienza. Intanto esplora nuove strade, si è dedicata all’insegnamento e ha iniziato a recitare. Ma anche in questo campo continua a tenere nel mirino la lotta contro i disturbi alimentari. Il prossimo 19 marzo debutterà infatti come protagonista nella pièce “360 gradi di rabbia”, tratta – e non è un caso – dal romanzo di una donna che è stata malata di anoressia.

adminDonneuropa.it – Mary Garret: “In Italia su anoressia e bulimia c’è la volontà di tacere”.
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